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Elaborazione del Vuoto e Interruzione della Psicoterapia


L’interruzione del rapporto psicoterapeutico è spesso associata a dinamiche, eventi o esperienze considerate negative e sulla descrizione e l’analisi di questi aspetti, quasi sempre attribuiti alle difese del paziente, si è focalizzata in gran parte la Cultura Psicoterapeutica, mentre è possibile raccontare e pertanto pensare anche situazioni di riconoscimento della realtà umana dell’altro da parte dello psicoterapeuta come premessa alla proposta di interruzione della Psicoterapia in conseguenza di precisi movimenti del paziente.

Il rapporto con il mondo/la relazione con l’altro, sono alla base dell’esistenza umana poiché imprescindibili per lo sviluppo psicofisico e perché sono l’intenzione e il fine dell’esistenza stessa.

La fisiologia umana implica la necessità, fin dalla nascita, di una risposta affettiva adeguata perché il bambino possa crescere e esprimere la sua identità come rappresentazione di sé nel mondo.

Se le esperienze relazionali precoci e in aggiunta quelle dei primi anni di vita hanno permesso al bambino/ragazzo di confrontarsi con le prime e fondamentali dinamiche di separazione, l’adolescente entrerà nella vita adulta potendo percepire una coerenza tra immagine di sé e espressione di sé, permettendosi il rapporto con il mondo come ricerca del piacere.

Differentemente se gli adulti di riferimento hanno faticato nel riconoscere al bambino una sua identità fin dai primi mesi di vita, proiettando su di lui/lei delle esperienze relazionali precedenti irrisolte, l’adulto di poi ricercherà il rapporto non pienamente come spontaneo investimento affettivo sull’altro ma come bisogno e di conseguenza le separazioni rappresenteranno sempre una perdita come perdita di sé, da evitare a tutti i costi.

La persona negli anni sviluppa un’identità che si fonda su tali paure e, proprio perché l’esistenza è rapporto con l’altro, deve costruire delle strategie comportamentali per trovare un modo di stare al mondo, strutturando una personalità specificamente condizionata dalla paura della perdita e dal bisogno dell’altro, limitando il contatto con il piacere e il desiderio.

La Psicoterapia ha l’obiettivo di proporre al paziente una relazione che utilizzi un linguaggio diverso rispetto al bisogno e permetta il superamento della personalità bloccata in una rappresentazione di sé unica e condizionata, per dare vita a un’identità libera di poter perseguire il desiderio come espressione della fantasia inconscia.

In alcuni casi il confronto con i pazienti mette in luce personalità strutturate per difendere un’identità sottostante apparentemente molto fragile e pertanto quasi intoccabile, esprimibile e reperibile con difficoltà all’interno dello stesso rapporto psicoterapeutico.

La scomoda parola fragilità comprende invece un nucleo originario vitale del bambino, il Potenziale Umano https://www.mbpsicoterapia.it/il-potenziale-umano-sintesi/ , che è stato negato precocemente dal rapporto con l’adulto cui ha fatto seguito l’angoscia di perdita di sé, vissuto intollerabile che ha richiesto la progressiva costruzione di meccanismi di difesa.

Le difese hanno il compito di rendere la personalità il più efficiente possibile nel rapporto con il mondo esterno, con le risorse a disposizione, rivolte a evitare la paura e l’angoscia che altrimenti condizionerebbero continuamente l’esistenza.

Per questo l’incontro con il paziente mette in luce la costrizione e la fatica che derivano da anni di tentativi, più o meno efficaci, di tenere in piedi la propria personalità nonostante le svariate sensazioni di paura, di incapacità e di vera impossibilità associate a sforzi mentali ed emotivi spesso estenuanti.

L’effetto maggiormente visibile è proprio il dover tenere e resistere per non perdersi nell’angoscia e nel senso di frammentazione di sé e in questi casi il paziente chiede inconsapevolmente ma non di rado anche con sapienza di sé, alla Psicoterapia di rendere più efficaci le stesse difese, di trovare una strategia per difendersi meglio senza dover tenere tutto insieme così faticosamente.

Il linguaggio di riconoscimento del rapporto psicoterapeutico inizia, fin dai primi incontri a offrire risposte diverse al paziente che come primo effetto trova uno spazio che permette alla tensione di allentarsi, la persona non deve tenere più tutta la fatica sulle proprie spalle.

Questo apre a emozioni e pensieri diversi che si svincolano dalla coazione a ripetere https://www.mbpsicoterapia.it/sulla-coazione-a-ripetere/ , permettendo una visione di sé e del mondo meno obbligata e monotematica.

L’esperienza è talvolta disarmante per il paziente che si ritrova a vivere e pensare non schiavo di dinamiche ed emozioni che sembrano esserci state da sempre nella sua esistenza e questo si concretizza con la scoperta di un vissuto, di conseguenza un pensiero e infine di un agire che esprime un’immagine di sé finalmente vitale.

La qualità di vita risale in molti ambiti e, in tanti casi, ho condiviso con i pazienti veri e propri impeti di gioia per un qualcosa che si voleva esprimere da lungo tempo ma al contrario rimaneva incastrato, bloccato.

In questa fase del processo psicoterapeutico, fuor d’ogni dubbio di cambiamento, la relazione si ritrova a un bivio, comprensibile e coerente.

Il paziente da un lato vive la forza del cambiamento e migliora, anche potentemente, l’immagine di sé e di conseguenza il rapporto con il mondo.

È quasi come fosse una possibilità rispetto all’impossibilità, dico quasi perché l’associazione inconscia – investimento affettivo/non risposta dell’adulto – appartiene a un periodo così precoce della vita che è come se non ci sia ricordo dell’associazione invece fisiologica della relazione – investimento affettivo/risposta dell’adulto -.

Dall’altro lato c’è la consapevolezza dello psicoterapeuta che, nei pazienti che hanno incontrato l’esperienza di assenza affettiva del genitore nei primi mesi di vita, la personalità dell’adulto si sia costruita intorno al bisogno primario di difendersi dal mondo esterno, o in immagini inconsce, di proteggere il bambino rimasto bloccato dall’angoscia della non risposta vissuta come perdita di sé.

La vitalità del paziente emersa dalla relazione psicoterapeutica si modella e adatta ancora a quella che ho chiamato identificazione secondaria, una precisa dinamica di identificazione con l’altro finalizzata a rendere la personalità sempre più amabile per proteggersi dal rischio dell’angoscia di perdita dei rapporti, fondamentali all’esistenza perché salvezza dalla non-esistenza https://www.mbpsicoterapia.it/differenze-tra-identificazione-primaria-e-secondaria-in-psicoterapia/ .

Pertanto il paziente che si sente meglio in Psicoterapia, in un primo periodo vive la gioia di un cambiamento vero ma che inconsciamente ha anche la funzione di rendere socialmente più efficace la personalità difensiva poiché difesa significa rivolgere le risorse affettive al fine di conquistare l’amore degli altri per evitare il rischio di frammentazione https://www.mbpsicoterapia.it/la-corazza-e-il-nucleo-centrale-della-personalita-in-psicoterapia/ .

Questo è spesso confermato, oltre che dall’intuizione iniziale e durante il processo psicoterapeutico, dall’emergere di sogni che raccontano come la vitalità ritrovata sia utilizzata anche come spinta profonda, la fiducia nella relazione, per esplorare e risolvere il vuoto sottostante.

Il paziente sta meglio clinicamente e inconsciamente utilizza ancora la relazione psicoterapeutica per affrontare la dinamica precoce di angoscia come assenza dell’altro: l’invisibile può finalmente diventare visibile.

Entrambi quindi, psicoterapeuta e paziente, riconoscono e condividono questo passaggio, non è una consapevolezza unilaterale dello psicoterapeuta ma le dinamiche ancora in elaborazione si incontrano anche con il generale ritorno a una qualità di vita importante.

Il paziente si sperimenta diversamente e ottiene risposte esterne che lo rendono felice e proprio per questo in alcuni casi ho proposto di terminare la psicoterapia, anche se eravamo consapevoli che ci fosse ancora quella base di sé da trasformare, fondamentale, proprio perché è il nucleo originario dell’identità.

È una sottile linea di confine che passa attraverso l’intuizione dello psicoterapeuta di cosa sia veramente meglio per il paziente in quel momento se il mantenere ancora la certezza e il proseguimento del lavoro psicoterapeutico o se, proprio a conferma della certezza del lavoro fatto, restituire una risposta di fiducia che si concretizzi nel proporre di godersi finalmente quel benessere ritrovato andando per la propria strada.

Entrambi siamo consapevoli che quell’angoscia potrebbe ritornare perché la dinamica che l’ha determinata non è ancora risolta ma proprio perché questa ha reso il bambino e poi l’adulto forte della sensazione che fosse sempre mancante, non in grado di, letteralmente incapace, lo psicoterapeuta stesso ascolta con maggiore forza il richiamo vitale del paziente che l’aspetto psicopatologico.

La proposta si fonda a sua volta, è intuibile, su una capacità di separazione dello psicoterapeuta maturata con l’esperienza e soprattutto con la formazione di cui sempre rimando la centralità, altrimenti non sarebbe possibile un passaggio per certi versi azzardato come proporre il termine del rapporto psicoterapeutico quando alcune dinamiche sono ancora irrisolte.

Terminare, nella comunicazione con il paziente, non significa chiudere, ma lasciare quel contenuto al sicuro nella stanza del setting mentre il paziente torna a riprendere possesso della propria vita.

Se in futuro alcuni problemi si riproponessero, la porta è sempre aperta e quel contenuto è a disposizione della relazione per essere risolto, altrimenti il paziente ha efficacemente trovato il suo posto nel mondo e a maggior ragione quel contenuto può rimanere silenzioso nella stanza.

Interrompere la Psicoterapia è, a mia esperienza, possibile e necessario non solo per gli aspetti considerati “disfunzionali” della stessa relazione psicoterapeutica: resistenze, difese, saturazione, non raggiungimento degli obiettivi e tutto quanto la letteratura riporta ma anche, in ascolto vero dell’intera storia del paziente e del benessere riacquisito e vissuto, per riconoscimento dell’importanza di dare uno spazio personale al paziente che possa non contenere necessariamente la Psicoterapia.

Quando ho sentito di proporre ad alcuni pazienti questo tipo di separazione, si tratta sempre di casi circoscritti, ho ritrovato come prima reazione una risposta accomunabile che è stata di stupore, perché inattesa, e contentezza profonda, lacrime di gioia perché i pazienti sentivano il riconoscimento della loro realtà umana in forma vera, tangibile e come esperienze nel medio termine invece, ho riscontrato diverse risposte.

Alcuni sono tornati perché dopo aver vissuto un periodo anche lungo di mesi di benessere si sono ritrovati a sentire quel rumore di fondo presente, di un qualcosa non solo di irrisolto ma che ancora poteva essere una minaccia o un rischio, abbiamo insieme ripreso il contenuto lasciato nella stanza e la dinamica di vuoto e perdita di sé sottostante è stata trasformata e la Psicoterapia conclusa.

Altri sono tornati con il piacere di raccontarmi che la loro vita stava andando molto bene ed erano/sono felici: una serenità non superficiale perché mi raccontavano la consapevolezza di aver lasciato un nucleo pesante sospeso nel setting ma avevano gli strumenti efficaci per far fronte a quelle paure ogni tanto riemerse e insieme a questi, un’esistenza appagante.

In ogni caso ho sentito che quella decisione presa talvolta intuitivamente sul momento, nemmeno anticipata pertanto sorprendente per il paziente e forse anche per me, ha avuto sempre un significato costruttivo nella relazione stessa anche a conferma che separazione è sinonimo di riconoscimento della realtà umana propria e dell’altro e di crescita, seppur, molto spesso, dolorosa.

 

Michele Battuello