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Quando non è efficace interpretare i sogni in Psicoterapia


Il ricordo dei sogni in Psicoterapia è generalmente considerato un segno positivo di contatto del paziente con se stesso e con i suoi stati emotivi.

La sensazione di aver sognato più volte durante la settimana tra una seduta e l’altra e il recuperare frammenti o sogni, apparentemente, integri, da raccontare, è indice dell’alleanza psicoterapeutica e della fiducia irrazionale nel rapporto, soprattutto quando si associa a un fenomeno frequente che i pazienti riferiscono ai primi incontri che riguarda proprio il fatto di non sognare o, spesso, consapevoli che non è possibile non sognare, di non riuscire a trattenere alcuna immagine onirica.

L’esplorazione della qualità del sonno e con essa il mantenimento del rapporto con la quota più importante della capacità di lasciarsi andare del paziente, abbandonando le difese, rappresentata dal ricordo dei sogni, coinvolge, spero, tutti gli orientamenti psicoterapeutici, a prescindere da come poi sia utilizzato il sogno per la cura.

Parlare dei sogni in Psicoterapia non significa necessariamente interpretare i sogni che è, invece, una risposta specifica all’intuizione da parte dello psicoterapeuta della realtà umana del paziente e viceversa, il paziente ricordando e narrando il suo sogno, fa un atto di riconoscimento della qualità affettiva dello psicoterapeuta: entrambi in questo modo portano avanti il processo di cura, a conferma che la relazione è completamente bidirezionale anche se vissuta su piani diversi rappresentati dall’obiettivo che è rivolto al paziente e alla sua guarigione.

Molti modelli che si basano esclusivamente o quasi sull’interpretazione dei sogni utilizzano sempre il materiale onirico restituendolo al paziente con il suo significato affettivo, che si tratti di un’interpretazione del qui e ora che del là e allora della storia del paziente stesso.

Sono sicuro che la sensibilità dei colleghi alla relazione comporti modi e livelli diversi di integrare il contenuto onirico con il momento specifico del paziente, legato al come egli sia in grado di sostenere e metabolizzare il contatto affettivo con le immagini emerse e restituite dall’interpretazione.

Nella mia esperienza sono convinto che il sogno non vada né chiesto né tantomeno interpretato, pur se presente e ben ricordato, in alcuni specifici casi.

Da un lato è evidente che il paziente che sogna mantiene un contatto con il suo Potenziale Umano, la Fisiologia della Relazione https://www.mbpsicoterapia.it/il-potenziale-umano-sintesi/ ; https://www.mbpsicoterapia.it/psicoterapia-combinata-individualegruppo-1/  che è rimasta intatta, seppur protetta dai meccanismi di difesa, e che è rintracciabile nella relazione psicoterapeutica così come nel fatto stesso di ricordare i sogni.

Dall’altro lato è anche riscontrabile, talvolta, una personalità molto strutturata costruita necessariamente per potersi relazionare con gli altri, nonostante le paure, le incertezze e le angosce di contatto con il mondo, dovute alle relazioni primarie, che altrimenti non avrebbero permesso al paziente di proseguire comunque il suo sviluppo psico-fisico bloccandolo totalmente in fasi precoci della crescita.

In questi casi le risorse affettive sono state impiegate per gestire la personalità difensiva emergente come segue: il sentimento onnipresente è angoscia e senso di perdita, la personalità costruita serve all’espressione sociale e l’affettività, spesso immatura, è indirizzata a rendere il più possibile reale (con il significato però di efficace e funzionale) la personalità difensiva.

Tutto questo è rivolto all’unico e principale scopo che è quello di proteggere la fragile identità originaria che si esprime principalmente nei sogni e, contemporaneamente, evitare a tutti i costi di poter provare l’angoscia disarmante, percepita come possibile e dietro l’angolo nella maggior parte degli spazi e dei tempi relazionali del paziente.

Le sfumature emotive e i livelli introspettivi sono effimeri e poco reali perché servono a coprire la continua angoscia e anche perché, l’immaturità relazionale in cui il paziente è rimasto bloccato per cause ambientali e non individuali, comporta l’essere ancora legato al bisogno di risposte affettive e quindi a esperienze del tipo tutto o nulla, vita o morte, presenza o assenza https://www.mbpsicoterapia.it/sintesi-dellorigine-del-senso-di-vuoto/ .

Come dicevo, le risorse affettive sono state inconsapevolmente asservite alla costruzione di una personalità necessaria per vivere in mezzo agli altri ma che contemporaneamente è rivolta a legarsi inscindibilmente alla relazione, di coppia o amicale, che diventa un oggetto fusionale o identificatorio che salva, apparentemente, dall’angoscia.

Quando la relazione si instaura è dominata da ansia, controllo e paura costante di abbandono che in base alle risorse attivate, possono essere mascherate o meno: il paziente mantiene la consapevolezza che non può mostrarsi pienamente per quello che vorrebbe (possedere completamente la persona per salvarsi), e cerca di sfumare i suoi aspetti che risulterebbero intollerabili nella relazione mentre internamente è letteralmente divorato dalla paura di perdita e di abbandono.

Questa dinamica si presenta, ed è inevitabile, nella relazione psicoterapeutica e soprattutto nei primi tempi mi capita di apprezzare una vera e genuina predisposizione al rapporto caratterizzata dall’emergere di risposte, comportamenti e pensieri connotati da un’affettività, direi limpida.

Questo è legato alla necessità inconscia del paziente di “guadagnarsi” il rapporto, di cercare in tutti i modi di farsi amare ed essere accettato: la predisposizione non è veramente libera perché condizionata dal bisogno esistenziale di catturare e fondersi con il rapporto per ottenere qualche certezza.

Il ricordo del sogno è presente, a confermare un contatto con aspetti affettivi di Sé che si rendono, diciamo, disponibili, all’alleanza psicoterapeutica ma finalizzati alla conquista del rapporto che è una vera e propria fatica esistenziale e che coinvolge totalmente le energie psicofisiche del paziente dentro e fuori la stanza della Psicoterapia.

In sintesi l’affettività è contattabile ma è tutta centrata a soddisfare le esigenze della personalità difensiva.

Per distinguere, e spesso non è semplice, l’ambivalenza relazionale, nei termini che ho descritto, è centrale l’utilizzo del sogno che, senza alcun dubbio rispetto agli aspetti relazionali, smaschera le funzioni difensive dell’affettività espressa dal paziente.

Il racconto stesso ha delle connotazioni particolari perché è talvolta incolore, privo di tonalità espressive riconducibili alle emozioni delle immagini poiché il controllo razionale sull’affettività rende necessario spogliare il contenuto di qualsiasi rischio: la sensazione è di un imparato a memoria quasi al limite con il mettere in dubbio che il paziente stia raccontando un sogno o che stia utilizzando pensieri e fatti reali in una costruzione cosciente o di dormiveglia.

Nei casi in cui il paziente abbia, nonostante tutto, una connessione emotiva con il contenuto del sogno, l’interpretazione è spesso scansata se non chiaramente rigettata, tramite non verbali eloquenti come il distrarsi di frequente, l’interruzione dell’interpretazione con pensieri altri, lontani dall’essere intuizioni o introspezioni, fino ad allontanamenti veri e propri come l’iniziare a raccontare il sogno successivo o parlare di altro quando ancora siamo immersi nel significato profondo e ad alta carica emotiva.

Altre esperienze mi hanno fatto confrontare anche con l’utilizzo da parte del paziente delle dinamiche verbalizzate con l’interpretazione come strumento di lettura delle relazioni esterne in soli termini coscienti: le parole, come ad esempio, identificazione, negazione, realizzazione e altre diventano la lingua formale con cui si prova a spiegare la realtà a se stessi e agli altri, fuorviando del tutto il significato profondo della parola nel qui e ora dell’interpretazione del sogno.

Sono segnali importanti perché chiariscono l’ambivalenza emotiva del paziente che da una parte, cerca di dimostrare che è in contatto emotivamente con sé ma dall’altra evidenzia l’impossibilità in quel momento, di stare nel contenuto relazionale del sogno.

Se lo psicoterapeuta non usa il sogno come ho più volte descritto https://www.mbpsicoterapia.it/il-sogno-e-la-sua-interpretazione/ o proprio non lo usa, rischia di cogliere alcune risposte come un’efficace alleanza psicoterapeutica andando a sostenere e rinforzare inevitabilmente i meccanismi di difesa, alleandosi per l’appunto con le risorse affettive ma non leggendole come manifestazione della personalità che nei suoi contenuti più dolorosi, continua a proteggersi e a non disvelarsi.

La pratica clinica in questi casi mi porta a non utilizzare l’interpretazione del sogno o, magari, a far associare al paziente ricordi, eventuali emozioni o pensieri che può prendere dal racconto dei fatti onirici senza attribuirgli io alcun contenuto interpretativo.

Poiché una connessione tra razionalità e irrazionalità è comunque presente, utilizzo il pensiero cosciente per accompagnare il paziente passo passo ai contenuti emotivi del ricordo o delle sensazioni del qui e ora.

Nel tempo è apprezzabile una diminuzione del controllo mentale sulla relazione e l’affiorare di stati d’animo nuovi e genuini, che solitamente spaventano e mettono in allarme ma sono oramai più gestibili perché frutto della condivisione e della riflessione sul pensiero e sulle azioni.

Le risorse affettive si mettono a disposizione progressivamente dei nuclei più profondi, più veri ma anche più rischiosi perché associati ad angoscia e paura di abbandono e la personalità difensiva si ritrova a essere smantellata pezzo dopo pezzo poiché non obbligata a controllare ogni pensiero, movimento, sguardo o tonalità di se stesso o dell’altro (lo psicoterapeuta).

Il paziente che continuava a vivere come se dovesse sempre sorreggersi da solo e difendere da qualsiasi tipo di relazione, soprattutto quella psicoterapeutica, a un certo punto incontra l’altro, il rapporto, e si permette la vera fiducia, che si snoda in una prolungata alternanza tra resistere e lasciar andare, fuggire dal rapporto e provare a starci dentro in parte.

L’interpretazione dei sogni a questo punto prende lo spazio rilevante della Psicoterapia perché è associata alla consapevolezza del paziente delle dinamiche in atto: con estremo comprensibile timore, il nucleo protetto (il contenuto del sogno) che equivale al bambino rimasto bloccato nel suo processo evolutivo e ancora appeso all’ambivalenza tra il bisogno assoluto della risposta dell’altro e l’angoscia di abbandono dell’altro stesso, è realmente contattabile, è esposto ma inizia a sentire una base solida su cui poggiare il senso di Sé.

La relazione psicoterapeutica ha posto le basi per questo piedistallo, l’atto interpretativo di intuizione e riconoscimento del paziente da parte dello psicoterapeuta restituisce il senso di identità e di appartenenza a Sé che è il contenuto centrale della separazione e possibilità di vera autonomia come descritto altrove https://www.mbpsicoterapia.it/sintesi-dellorigine-del-senso-di-vuoto/ ; https://www.mbpsicoterapia.it/sintesi-dellorigine-del-senso-di-vuoto/ .

Il lavoro con i sogni e con la relazione pertanto coincide con il saper riconoscere che talvolta non è utile, anzi controindicato, interpretare un sogno anche quando il paziente è ricco di ricordi onirici e offre una buona alleanza psicoterapeutica, se disconfermata dalle reazioni inconsce ai sogni stessi e alla loro iniziale interpretazione.