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Le Diversità in Psicoterapia


Evidenziare le ambivalenze della Cultura Psicoterapeutica ha l’obiettivo di rendere la Psicoterapia rivolta al suo unico obiettivo che è la cura delle persone: questo si realizza a seguito di una riflessione critica sull’oggi del mondo dell’approccio relazionale alla salute mentale che è appunto la Psicoterapia.

La Ricerca e la Formazione sono gli ambiti che devono essere presi costruttivamente di mira perché sono gli spazi all’interno dei quali si attivano e si confrontano le conoscenze sull’essere umano che provengono dalla clinica https://www.mbpsicoterapia.it/professioni-sanitarie-e-formazione-sullesperienza-relazionale/.

Ho raccontato le Diversità nelle gabbie di alcuni punti di vista della Cultura Psicoterapeutica in cui il paziente è annullato dalle diagnosi che sono considerate intrinseche alla natura della persona, e come invece le Diversità siano affrontate e riconosciute quando lo sviluppo psicofisico ha seguito la fisiologia della relazione per cui l’adulto è sostanzialmente in contatto con una propria identità percependosi distinto e separato dall’altro essere umano proprio per essere inquinato e contaminato dal mondo relazionale senza dover ricercare risposte affettive irrisolte ancestrali https://www.mbpsicoterapia.it/la-cultura-psicoterapeutica-e-la-questione-sulle-diversita/ https://www.mbpsicoterapia.it/ancora-sulle-diversita-nella-cultura-psicoterapeutica-e-in-psicoterapia/.

Quando le relazioni precoci hanno interferito contribuendo alle basi per una futura psicopatologia dell’adulto, la Psicoterapia serve per ridefinire quell’identità che è rimasta parziale perché ferma in un momento storico, impossibilitata ad andare avanti e bloccata nell’attesa di una risposta.

Per non rimanere completamente ancorata a quei vissuti, la persona ha attivato dinamiche inconsce come l’identificazione per portare avanti il processo evolutivo e meccanismi di difesa per arginare rischi e sofferenze con compromessi spesso importanti che hanno mortificato la qualità di vita della persona stessa.

Una delle esperienze raccontate dai pazienti in Psicoterapia è di sentirsi diversi e tante volte di avere memoria di essersi sempre sentiti non corrispondenti alle richieste della famiglia e del mondo esterno.

La Diversità in questo caso è vissuta come spiacevole e obbliga a trovare un’identità che, come rappresentazione, si identifichi al meglio in stereotipi riconosciuti dalla maggioranza, di solito ricercata in sottogruppi: vicini, amici, famiglia, colleghi.

In alcuni casi la frustrazione del sentirsi non adeguati ha una diversa rappresentazione, l’opposto del tentativo di essere uguali a, che è trasgressiva, ribelle, eccessivamente fuori dagli schemi sociali: la persona, il paziente riconosce e sa che questa diversità non corrisponde al sentirsi libero di vivere se stesso ma al contrario all’insofferenza di non trovare un posto nel mondo cui appartenere.

Questa esperienza corrisponde a un’immagine di sé, non integra, spesso frammentata e la ricerca dell’altro è legata al bisogno di un rapporto che permetta di non perdersi del tutto, indipendentemente da come si relazioni il paziente con il mondo esterno, in maniera dipendente o evitante.

Soffermandomi spesso e tanto sulla Fisiologia della Relazione, provo a descrivere la Diversità come paura che si trasforma invece in ricerca e desiderio in Psicoterapia e poi nella vita dei pazienti, utilizzando in prevalenza le immagini che emergono dai sogni.

I sogni, interpretati soltanto nell’esperienza del qui e ora della coppia psicoterapeutica https://www.mbpsicoterapia.it/incontri-sul-sogno-e-la-sua-interpretazione-in-psicoterapia/ , riconducono a una forma generale delle relazioni dell’essere umano e degli effetti sull’identità di risposte efficaci e non efficaci del mondo esterno che vanno a costituire un pensiero comune sulla Fisiologia della Relazione stessa che può così essere raccontata nelle sue fondamenta https://www.mbpsicoterapia.it/avvio-di-un-pensiero-unico-come-base-per-la-psicoterapia/ .

Nei sogni questa necessità della risposta dell’altro prende la forma e di seguito il nome di identificazione per rappresentare un’identità che non può stare senza l’immagine dell’altro, storicamente figurato come il rapporto con il genitore e in seguito sostituito da partner o relazioni adulte ma che sottendono una parte di sé strettamente legata al bisogno  e non al libero desiderio.

Nei sogni è spesso presente un accompagnatore, rappresentato dal genitore o dal partner ma anche da figure facente funzione di, che sono imprescindibili dall’azione del sogno stesso che avviene grazie a loro e/o se si allontanano dalla scena, accade qualcosa di imprevedibile o terribile.

La dinamica è di identificazione precoce del bambino con l’adulto che si protrae e rimane solidificata nel tempo a descrivere come l’integrità originaria, della nascita del bambino, è stata ostacolata dalla risposta, di solito parziale, del genitore determinando un’esperienza di incertezza, di ambivalenza che si esplicita nel rischio della separazione dall’altro come perdita di sé, inconsciamente evitata introiettando l’immagine dell’altro stesso.

Di conseguenza nei sogni il paziente si lega a ciò che rievoca immagini conosciute, l’identificazione con la madre appunto, cercando di ottenerle e/o di incarnarle a raccontare la coerente ricerca di sicurezza nell’uguale e nella paura al contrario del diverso: nella vita del paziente questo compromesso ha un prezzo che è la sofferenza che esprime la psicopatologia come non riconoscimento del bambino da parte dell’adulto.

L’inconscio onirico distingue sempre questi vissuti e le dinamiche a essi associati dalla totalità della persona/paziente stesso: l’identificazione e in altri casi più complessi la fusione come conseguenza di esperienze di assenza di rapporto/anaffettive angoscianti, non definiscono il tutto ma una parte.

È la conferma che anche il paziente grave non è mai identificabile con la sua malattia ma questa è una rappresentazione parziale di sé, ingombrante senza dubbio ma non totalizzante perché la psicopatologia non è ereditaria e costituzionale ma acquisita, va, come dicevo a rompere un’integrità esistente e attivata fin dalla nascita, il Potenziale Umano https://www.mbpsicoterapia.it/il-potenziale-umano-sintesi/ .

Le risorse e la vitalità che lo psicoterapeuta ritrova nella relazione e nei sogni con il paziente – evidenzio con perché la cura è un processo che si svolge insieme reciprocamente – attraverso l’interpretazione, rompono l’equilibrio identificatorio di legame dell’immagine interna con la figura genitoriale.

Sul piano cosciente è l’obiettivo che il paziente ricerca nella Psicoterapia, di sentirsi stabile e intero e non bisognoso e allo stesso tempo preoccupato dalla risposta dell’altro, associata sempre con il rischio della delusione e del rifiuto.

In contemporanea però, destrutturare l’identificazione comporta la perdita di certezze acquisite, anche se si sono costruite con il doloroso compromesso dell’incertezza di sé.

In questi passaggi psicoterapeutici si attivano le principali difese, espresse dalla resistenza, del paziente, che sente minati i suoi punti saldi da un lato e dall’altro conduce il rapporto a far emergere gli elementi vitali, vissuti come pericolosi come conseguenza della distorsione relazionale del rapporto originario con l’adulto genitore.

L’esperienza clinica mette in luce come le maggiori difficoltà si incontrino nei passaggi di separazione dalle immagini cui il paziente ha dovuto costruire un vincolo, un legame saldo per agganciare un’identità altrimenti in balia delle onde del mare e nel successivo incontro della possibilità di nuotare da solo e senza la paura continua di cosa emerge dal blu profondo del mare.

Con l’interpretazione dei sogni, che comprende la frustrazione delle dinamiche patologiche e soprattutto il riconoscimento dei nuclei vitali del paziente, continuando a utilizzare la metafora del mare, è facile distinguere come i movimenti che si snodano intorno all’analisi della psicopatologia, seppur associati a sofferenza, siano più gestibili rispetto all’intuizione e alla focalizzazione affettiva sulle risorse.

Questi passaggi sono paradossali per il paziente e per chiunque si interessi alla materia, se sono pensati in chiave cosciente – è inverosimile razionalmente pensare che il cambiamento e l’emergere della vitalità siano ostacolati o talvolta del tutto negati – in realtà, nella loro verità affettiva e relazionale sono comprensibili e coerenti.

Il bambino ha, infatti, vissuto precocemente l’ambivalenza tra il suo investimento affettivo verso l’adulto e la risposta del genitore che disconfermava fino a negarla, la sua vitalità: a causa della precocità del periodo dello sviluppo ha inconsapevolmente iniziato negare quell’affettività e a ricercarla continuamente nell’adulto, strutturando nel tempo l’identificazione come compromesso per crescere.

Poiché causa di sofferenza, la vitalità ha preso la rappresentazione di qualcosa di pericoloso, da nascondere o da evitare, lasciando allo stesso tempo il bambino bloccato nel bisogno e nella ricerca di una risposta dall’esterno che si assocerà nell’adulto spesso a un’idea di sé negativa: questo perché la maturazione del Sistema Nervoso non permette di distinguere tra sé e l’altro nei primi mesi di vita e più avanti di comprendere coscientemente l’inadeguatezza della risposta genitoriale.

Quando nel lavoro psicoterapeutico emerge la vitalità e lo psicoterapeuta si allea con questa forma originaria e genuina della persona, è comprensibile come compaia il rischio prima che si raggiunga una fiducia ancora più salda dell’alleanza psicoterapeutica iniziale, che è quella di permettere al vero sé di esprimersi e rimettersi in gioco senza la paura, talvolta l’angoscia, della delusione e della perdita.

Nei sogni si osserva una progressiva sostituzione di immagine, le azioni vedono comparire figure diverse corrispondenti a persone che per il paziente hanno una qualità affettiva più solida di quelle identificatorie utilizzate in passato.

La caratteristica dinamica è che proprio perché le immagini utilizzate sono affettivamente significative, includono la possibilità fondamentale della relazione sana, di separazione che pertanto non è più sinonimo di angoscia, perdita e abbandono ma di risposta affettiva alla relazione.

Proprio per il riconoscimento reciproco nel rapporto, a partire da quello psicoterapeutico, la separazione è crescita, ritrovamento della propria identità e l’esistenza procede come spontanea spinta evolutiva in avanti e, nella fase finale della Psicoterapia, i sogni offrono immagini in cui il paziente, oramai quasi ex-paziente, si permette di nuotare da solo serenamente.

L’autonomia così raggiunta, che si intende come autonomia dell’immagine di sé finalmente distinta e separata dall’identificazione con l’altro, permette il desiderio: la voglia e il piacere di incontrare persone in questo mare che non è, per natura umana, nuotabile da soli https://www.mbpsicoterapia.it/ancora-su-autonomia-indipendenza-un-nuovo-monoteismo/ .

Così il sé ritrova l’integrazione, l’unicum che il bambino ha vissuto per un certo periodo fino a quando il rapporto con l’esterno gli ha strappato questa possibilità, dovendo omologare la propria immagine a quella identificatoria e rifiutando e sfuggendo sempre la diversità – profonda – come contatto con il pericolo.

L’identità che non ha più bisogno ma desiderio, l’investimento affettivo spontaneo sul mondo esterno, permette a ogni essere umano di appassionarsi, di conoscere e scoprire la e le diversità come arricchimento, come inclusione nel proprio mondo ma anche come possibilità di rifiuto quando il rapporto con l’altro non corrisponde, nega o talvolta distrugge il contenuto affettivo della relazione.

 

Michele Battuello