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Dinamiche fusionali e di identificazione in Psicoterapia


Nelle pagine precedenti ho raccontato come sia necessario distinguere in Psicoterapia tra l’alleanza con la personalità difensiva del paziente e il riconoscimento del nucleo centrale della persona che fa riferimento alla vitalità del bambino bloccato precocemente nel suo sviluppo da vissuti di perdita di sé,  tutto questo per l’efficacia della cura https://www.mbpsicoterapia.it/la-corazza-e-il-nucleo-centrale-della-personalita-in-psicoterapia/ .

L’angoscia di frammentazione e morte è causata dall’assenza di una risposta adeguata da parte dell’adulto di riferimento agli scambi affettivi che presenta la relazione del bambino con il mondo esterno, in un periodo dello sviluppo, i primi mesi di vita, in cui non vi è ancora distinzione tra sé e l’altro, pertanto le assenze nel rapporto possono dare origine a un senso di perdita totale di sé e quindi vuoto, angoscia e morte come rappresentazioni adulte di quegli stessi vissuti.

Quando fa esperienza di queste condizioni ambientali, il bambino è costretto a uscire precocemente dal mondo irrazionale che lo avvolge ancora per gran parte del tempo e ad attivare un primitivo sistema di vigilanza, attenzione e controllo a causa del rischio vitale che sente di correre.

Il periodo dalla nascita ai primi mesi in realtà è ancora estraneo a un tipo di coscienza che inizierà a emergere con lo svezzamento e le prime separazioni ed è una fucina attiva di stimoli sensopercettivi che danno continuamente informazioni al bambino dei suoi stati interni e del mondo esterno, correlate ai processi neurali dell’emisfero destro prevalenti fino ai 3 anni di vita circa e fondamentali per l’intero sviluppo psicofisico.

In altre parole, grazie all’integrazione delle diverse discipline che studiano la nostra crescita dalla nascita in poi, si conferma che la risposta affettiva degli adulti importanti è alla base dell’identità del bambino e del futuro adulto.

Le carenze relazionali che si instaurano nei primi anni di vita sono condizioni predisponenti e fattori di rischio per la successiva origine, strutturazione e insorgenza della psicopatologia https://www.mbpsicoterapia.it/psicoterapia-combinata-individualegruppo-1/.

La malattia ha sempre un significato difensivo poiché rappresenta fino a che punto e in che modo il paziente è riuscito ad attivare le sue risorse relazionali per poterproseguire il suo sviluppo anche quando alcune risposte esterne hanno determinato una difficoltà fino a un vero ostacolo nell’andare avanti.

Il bambino è rimasto bloccato in alcuni tempi del processo di crescita dovendo attivare delle strategie costruite inconsciamente per affrontare la paura più grande cui è stato messo di fronte che è quella di separarsi.

Perdere delle certezze acquisite per trovarne di nuove, diverse e necessarie a diventare adulti, è esperienza imprescindibile per ogni essere umano che richiede di maturare il conflitto, la perdita e il dolore per seguire una dinamica innatamente evolutiva che è la crescita come rapporto con il mondo.

In diversi modi e in tanti momenti è stato difficile per ciascuno di noi crescere ma la spinta vitale a entrare in relazione come desiderio di conoscenza e confronto con gli altri ha permesso il superamento, tramite la fantasia, delle frustrazioni legate al senso di perdita dello stato acquisito per andare verso lo sconosciuto.

Il processo di separazione si sviluppa nelle sue basi fondanti nel rapporto con gli adulti di riferimento, nei primi anni di vita, per questo motivo è così potente la relazione, principalmente con la madre, e di conseguenza l’importanza dell’esplorazione di questo periodo in Psicoterapia.

Se il bambino non ha ricevuto risposte affettive adeguate e con questo si intende capaci di fargli sperimentare nella relazione quell’enorme bagaglio relazionale che ogni essere umano eredita indistintamente, nel processo maturativo potrà rimanere bloccato nella ricerca di quella risposta.

Di conseguenza non troverà la certezza (fantasia inconscia) necessaria per potersi separare e l’esperienza sarà più difficile e dolorosa di quanto non sia per sua natura e dovrà per forza trovare delle strategie difensive per affrontarla.

Crescere, pertanto separarsi e trovare in ogni passaggio un’identità sempre più distinta e separata dall’adulto, sarà sostituito dal bisogno di trovare in continuazione un riferimento esterno che permetta di credere in sé e andare avanti, di legarsi indissolubilmente a questo bisogno e di pagare inconsciamente rinunce importanti alla propria espressività per mantenere la certezza di un altro che risponda.

Così nasce l’identificazione, come rispecchiamento del proprio volto negli occhi dell’adulto in cerca di una conferma invece di investimento del desiderio, la fantasia, nel rapporto con l’altro, il mondo.

Nel rapporto che invece riconosce, per eccellenza il rapporto sano con la madre, l’intesa nasce dalla capacità di questa di amare e intuire il figlio non come proprio oggetto o parte di sé ma come essere umano avente la dignità di essere distinto e separato, anche se caratterizzato dal bisogno di accudimento.

Così anche è il rapporto psicoterapeutico: il prendersi cura è diverso da offrire un rapporto in cui rispecchiarsi, se si riconosce e offre insindacabile valore alla relazione che, anche nelle maggiori difficoltà del paziente, considera la persona come distinta e separata dalla malattia, con una sua identità, appunto.

L’identificazione con i genitori e poi la sua proiezione nei rapporti adulti è spesso rappresentata nei sogni come legame: è la fede nuziale inconscia che vincola il bambino alla madre, il paziente alla non libertà di essere se non grazie a qualcun altro o qualche cosa che gli offra uno specchio in cui ritrovarsi, sacrificando, è comprensibile, il desiderio per il bisogno.

La dinamica difensiva così costruita ha il vantaggio di dare alla persona un’immagine interna cui far continuo riferimento per affrontare i passaggi di maturazione, crescita, pertanto di separazione anche nell’età adulta: è una parte del sé mancante che viene presa in prestito ma da cui non si può sfuggire se non si vuole rischiare di perdere tutto e ritrovarsi nella paura.

In questo modo il bambino trova un sistema per rispondere alle richieste e alle aspettative del mondo adulto anche se inizierà a intraprendere un cammino tortuoso e minato di paure e incertezze.

L’identificazione ha lo svantaggio che il Potenziale Umano del bambino, le risorse anche attivate e vissute durante la crescita, è al servizio del rimanere attaccati alle relazioni e questa dinamica porta con sé sempre svalutazione, incertezza e rabbia.

Il bambino infatti che non trova le risposte efficaci nel rapporto durante i primi anni di vita, è costretto a introiettare l’immagine del genitore, farla sua come unico riferimento in quanto ha continuo bisogno di trovare quella risposta che gli permetta di separarsi senza quelle paure che lo costringono a rimanere attaccato e facendolo sentire non in grado, non sufficientemente amabile, in una parola svalutato, e non potendo maturare un pensiero critico nei confronti del genitore deludente perché quel tipo di consapevolezza cosciente non è ancora sviluppata.

Lo psicoterapeuta nell’intuire, attraverso la relazione e i sogni, questi vissuti precoci, analizza senza dubbio le dinamiche inconsce e non si ferma all’analisi distaccata e oggettiva ma integra la conoscenza del là e allora con il qui e ora di una relazione che affettivamente risponde a quei bisogni rimasti in sospeso da anni, guardando la persona non come la sua malattia ma come un individuo distinto e separato da sé, riconoscendogli sempre e comunque un’identità.

Per questo continuo a credere che un approccio alla realtà umana molto improntato su un pensiero che vede la psicopatologia e che tiene un occhio chiuso, cieco sul nucleo centrale della persona, il bambino dei primi anni di vita, si riduca a una Psicoterapia assistenziale e non curativa https://www.mbpsicoterapia.it/la-cultura-psicoterapeutica-che-guarda-con-un-occhio-solo/ .

Nell’interpretare le dinamiche disfunzionali come l’identificazione, anche se spesso all’origine della patologia e della sofferenza, non è possibile, in Psicoterapia, prescindere dalle risorse che comunque il paziente è riuscito ad attivare nella sua esistenza, nonostante la presenza del vincolo identificatorio e della riposta al bisogno, che sono le stesse che osserviamo nella relazione all’interno del setting e che rappresentano una comunicazione ancora in corso con il nucleo vitale del bambino bloccato e trattenuto nel suo processo di crescita.

La finestra temporale all’interno della quale l’essere umano percepisce un’assenza di rapporto con l’adulto, è fondamentale per l’instaurarsi di una dinamica identificatoria, sempre di difesa, ben diversa da una dinamica più complessa che è quella fusionale e che coinvolge i primissimi mesi di vita.

Come è noto e accennavo all’inizio, fino almeno a 6 mesi, non è possibile distinguere l’altro da sé, pertanto il non esserci del genitore è percepito come il non essere sé, e così i già ripetuti, vuoto, angoscia, senso di morte.

Nei sogni è rappresentato come il perdersi nel cosmo o precipitare in spazi senza fondo, sostanzialmente il nulla perché coincide esattamente con la sensazione originaria esperita.

Per questo motivo, quando il bambino comincia a distinguere un mondo esterno diverso da sé, per primo il rapporto con gli adulti che si prendono cura, è come se trovasse l’appiglio che impedisce di perdersi e sparire, pertanto si lega inconsciamente all’oggetto rapporto con un’enorme potenza perché rappresenta una realtà di possibilità di vita rispetto alla morte https://www.mbpsicoterapia.it/superamento-dellangoscia-nei-sogni-in-psicoterapia/.

Proseguendo una dinamica relazionale così invischiata al bisogno di sopravvivere, lo stesso genitore, anche se continua a proporre momenti di non risposta, è oramai imprescindibile dal sé del bambino, che, ancor più stretto della dinamica identificatoria, costruisce un legame fusionale come se dovesse realmente inglobare il corpo della madre per non rischiare la perdita.

In questo modo separarsi è ancor più complesso in aggiunta al fatto che il genitore stesso fatica nel riconoscere un’identità distinta e separata del figlio, con conseguenze precoci sullo sviluppo psicofisico del bambino.

Sul piano clinico, come prima conseguenza nell’adulto che ritroviamo in Psicoterapia, c’è un estremo utilizzo della mente cosciente e della razionalità per affrontare le esperienze: tutto è pensato, analizzato in forma logica, organizzato in rigide categorie di valori perché è sempre necessario controllare per evitare il più possibile il ripetersi del rischio dell’angoscia o comunque per poterlo almeno apparentemente arginare.

La fusione per il rischio del vuoto ad ogni separazione, ha determinato la scissione dall’affettività, in maniera orizzontale, come un taglio tra la mente e la pancia del sentire, perché quel sentire è stato percepito precocemente come causa e rischio della perdita di sé, di conseguenza i piani emotivi su cui si muove il paziente sono ristretti a forme primitive di tutto o nulla.

Anche se apparentemente il paziente racconta tanti stati d’animo, in realtà esistono poche vere sfumature che si restringono a un piacere estremo, idealizzato, quando l’oggetto rapporto è ottenuto e al contrario di angoscia senza fine non appena il rapporto stesso è a rischio anche per motivi apparentemente futili.

Il bambino e l’adulto poi, non hanno potuto fare esperienza delle sfumature emotive essenziali per confrontarsi con le esperienze di vita, sia perché il/i genitore/i sono stati carenti nella comunicazione e negli scambi emotivi sia perché, avendo determinato quel potente vissuto di assenza in periodi precoci, il bambino è rimasto bloccato dall’angoscia e ha dovuto focalizzare la vitalità nell’evitarla e poi nel controllare ogni emersione emotiva.

La personalità che inevitabilmente si struttura in seguito a tutto questo, è rigida, estremamente difesa, ripetitiva nelle manifestazioni comportamentali, poco disponibile al cambiamento, al conflitto e agli spostamenti emotivi eccessivi e si palesa in Psicoterapia come nella vita privata del paziente.

Nell’alleanza psicoterapeutica soprattutto all’inizio, emergono degli spazi emotivi che la coppia può toccare, esplorare, in parte ampliare, aumentando la tolleranza alla frustrazione parallelamente all’espansione delle possibilità affettive, della capacità di affrontare conflitti e migliorando la qualità di vita del paziente.

Ci sono degli spazi che invece rimangono inesplorabili o in molti casi non sono minimamente espressi/esposti alla relazione psicoterapeutica ed è proprio quella finestra che va intuita, riconosciuta e accolta per una fase diversa del lavoro, altrimenti, come riassumevo nell’introduzione, il paziente rende più tollerabili e meglio affrontabili i suoi schemi difensivi, non risolvendoli affatto, anzi, rinforzandoli.

Le conseguenze sono evidenti nell’esperienza clinica di molta bibliografia: ad esempio i disturbi della personalità, come borderline o narcisistico ma non solo, sono considerati come difficilmente trattabili o necessitano di complessi protocolli integrati farmacologico/psicoterapeutici, e volti a migliorare la sintomatologia e la gestione del rapporto con il mondo esterno, con un messaggio di sostanziale incurabilità.

Come al solito, non posso generalizzare, ma nella mia pratica clinica mi sono reso conto che alcune di quelle situazioni, considerate difficilmente risolvibili, hanno trovato delle risposte nel momento in cui ho seguito intuitivamente il nucleo affettivo centrale della persona, spesso emerso dai sogni, che era ben oltre il quadro diagnostico categoriale, permettendomi di distinguere le dinamiche identificatorie da quelle fusionali del paziente.

L’accesso era consentito solo agli aspetti depressivi cioè a tutto l’ambito psicopatologico che si era costruito intorno al rapporto con l’oggetto, la madre o il genitore di riferimento ma tutto questo a sua volta rappresentava una difesa ancor più grande e apparentemente occulta, per celare e proteggere ancor di più l’angoscia primitiva e sottostante che aveva incapsulato il nucleo affettivo del bambino in una corazza iper protettiva.

Il rapporto psicoterapeutico in questo modo, come tutti i rapporti, non poteva avere accesso a una fiducia più profonda per non rischiare di affacciarsi sul baratro dell’esperienza di angoscia e perdita, spesso anche con un’inconsapevole protezione del paziente nei confronti dello psicoterapeuta per non invischiarlo nell’onnipotenza della dinamica fusionale che prende, divora e distrugge.

Avendo intuito, grazie alla risposta inconscia dei pazienti, quel nucleo vitale, lontano, nascosto ma ben distinto da altri contenuti, ho iniziato a dare voce e vitalità a quel bambino per dargli il coraggio di riemergere per arrivare all’obiettivo di cura e risoluzione completa delle dinamiche psicopatologiche.

La descrizione superficiale e sintetica di queste dinamiche affrontate nella relazione e soprattutto con l’utilizzo dei sogni per le esperienze dei primi mesi di vita, è tutt’altro che romantica, nel caso potesse apparire così al lettore come descriverò in un altro spazio.

Il Centro di Psicoterapia di Roma, da oramai 10 anni lavora sia in ambito clinico che di ricerca e formazione, focalizzando l’importanza della fisiologia della relazione e promuovendo un pensiero sulla persona in toto https://www.mbpsicoterapia.it/incontri-sul-sogno-e-la-sua-interpretazione-in-psicoterapia/; https://www.mbpsicoterapia.it/avvio-di-un-pensiero-unico-come-base-per-la-psicoterapia/https://www.mbpsicoterapia.it/continuare-a-pensare-la-psicoterapia/.

 

Michele Battuello