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Una forma particolare di Cambiamento in Psicoterapia: quando non cambia nulla


Cambiamento è un termine che va sempre per la maggiore in ambito psicoterapeutico e a ragion veduta poiché la cura ha come obiettivo un cambiamento della percezione di Sé e del mondo del paziente.
Il ritrovamento di un senso identitario, come risoluzione della frammentazione di Sé, può comportare in maniera inequivocabile, un modo diverso di pensare, di agire, di vivere le proprie emozioni e pertanto di relazione con il mondo.
Molte volte però questa fenomenologia del cambiamento nasconde un’aspettativa da entrambe le parti, psicoterapeuta e paziente.
La coppia ricerca e attende il cambio di direzione, espresso da ciò che si può vedere e/o ascoltare, fatti e pensieri, raggiunto il quale, si ottiene la soddisfazione rispetto al processo relazionale, la Psicoterapia.
Mi ostino sempre a prendere in considerazione per prima la posizione del professionista poiché inevitabilmente può condizionare l’esito della cura.
Il risultato evidente dimostra che le persone seguite in Psicoterapia si sentono meglio poiché riescono a vivere una realtà oggettuale modificata rispetto alla precedente disfunzionale e causa di sofferenza, obiettivo indubbiamente gratificante per la coppia o il gruppo.

È interessante distinguere quanto questa necessità sia ugualmente importante o forse alcune volte più importante per il professionista ancor prima che per il paziente.
Se il cambiamento si riduce all’osservazione di un esterno che viene modificato, amicizie, relazioni, lavoro, interessi e concomitanti pensieri diversi su Sé e sulle proprie possibilità, può accadere che inconsapevolmente lo psicoterapeuta proietti sul paziente delle aspettative che si legano più alla forma che al contenuto del cambiamento stesso.
Si attiverebbe, in questo caso, un’attesa di risultati legati al giudizio personale che fa riferimento a cosa si ritenga o si creda che sia giusto o sbagliato, idoneo o meno, funzionale o patologico per la persona e poiché il paziente, soprattutto nelle fasi pre-individuazione di Sé nel rapporto psicoterapeutico, può viversi come bisognoso di riconoscimento da parte dello psicoterapeuta, inconsapevolmente cerchi di ottenere quel risultato.
In una fase di ricerca di autonomia, il sentirsi il bravo paziente, è necessario e importante.

Se la psicoterapia è più incentrata su un funzionamento esterno valido che in molti casi coincide con lavori considerati di “breve” durata, il risultato, da riconoscere sempre e comunque, rischia di lasciare appeso il paziente a un punto di compiacimento dell’altro, non permettendogli di mantenere e strutturare realmente un senso di Sé diverso, soprattutto se il lavoro psicoterapeutico termina per raggiungimento degli obiettivi.
Sappiamo anche che ci sono molti modelli psicoterapeutici che si propongono come goal principale, la risoluzione del sintomo con associato il cambiamento concreto di cui sopra, che si esplicita e si propone al paziente con il fine di raggiungere, se possibile velocemente, quello che ognuno cerca quando bussa alla porta di uno Psicoterapeuta: stare meglio.
Quando concordati e decisi insieme gli obiettivi, questi modelli sono di assoluta importanza perché rispondono alle chiare richieste ed esigenze del paziente.
Altre volte invece le persone cercano un Sé più stabile, oltre la risoluzione dei sintomi, con tutti gli aspetti associati che si vanno ad affrontare con le Psicoterapie che si occupano di restituire al paziente l’integrazione dell’identità, intesa come sentirsi autonomi e separati rispetto al mondo esterno pertanto liberi e capaci di muoversi nei contesti.

Il cambiamento assume in questi casi il senso di un processo sentito in Psicoterapia come percezione e progressivo vissuto di integrità del Sé e osservato nel racconto dei fatti esterni del paziente.
Mi preme differenziare “sentito” da “osservato”: il primo fa capo alla libertà dello psicoterapeuta al lasciarsi andare, ampiamente descritta altrove, al contenuto della relazione e non alla forma, mentre il secondo è quell’ascolto attivo ma non interpretativo della messa in atto del cambiamento.
Il sentito può essere interpretato e riconosciuto all’interno del setting perché emerge dalla relazione, l’osservato è materiale che è appreso svuotato di aspettative e pertanto di un obbligo di restituzione, per non diventare un compito sottoposto a giudizio.
Il mio approccio alla Psicoterapia che contiene il lavoro sul sogno e la relazione, include una fase di osservazione e ascolto del cambiamento esterno che è quella che considero come vedere il paziente al lavoro sul campo, il campo della sua vita quotidiana.
Questo periodo ha la sola funzione di dare ancora del tempo alla relazione per consolidare i processi di trasformazione profondi che coincidono con il ritrovamento di un senso di Sé autonomo e integro che comunque per un po’ di tempo è percepito sì come piacevole ma anche estraneo, sconosciuto, in alcuni casi alieno.

Cerco di renderlo più solido dedicando del tempo a restituire un’immagine di certezza e di riconoscimento, non considerando i fatti come il principale termometro dell’avvio della chiusura della Psicoterapia ma un tempo di acquisizione di maggiore stabilità di Sé.
Mi concedo così di vivere l’esperienza di una forma di guarigione del paziente per me molto emozionante perché rappresenta la Psicoterapia come restituzione reale alla persona della propria identità.
È il cambiamento in cui tutto rimane invariato: il paziente mantiene i suoi interessi, i rapporti interpersonali, la forma e lo spazio nel mondo senza intaccare nulla del suo modo di vivere rispetto a prima, a quando stava male. Nulla è uguale a prima invece in termini di identità, di certezza di sé, di risoluzione della paure della angosce e dei conflitti personali pur rimanendo aderente al suo contesto precedente.
Trovo affascinante questa possibilità e questa scelta della persona senza attivare modifiche concrete del quotidiano laddove il cambiamento oggettivo, esterno è la richiesta del mondo relazionale del paziente, compresa spesso, quella dello Psicoterapeuta.

In queste occasioni si tocca con mano quanto sul serio sia demarcata ma sottile la linea di confine tra psicopatologia e qualità della persona e quanto il nostro lavoro possa togliere il paziente dallo sconfinare oltre quella linea ma non lo debba sottrarre alla propria personalità.
Esperienze di vita che, intrinsecamente saldate con il malessere, con una identità logorata da anni di meccanismi di difesa messi in atto, hanno portato spesso i pazienti a muoversi in contesti complessi, molte volte con scelte di vita facilmente giudicabili, ritrovano la loro dignità di scelte e possibilità libere.
Quando, durante il percorso psicoterapeutico, mi accorgo che progressivamente, il mondo in cui si muove e vive il paziente non è più legato al rifiuto, alla necessità di fuggire, a trovare una maschera di originalità o molto altro, ma è la realtà cui sente finalmente di poter appartenere con genuinità, questa va restituita nella sua bellezza.

È il vero traguardo del superamento della vergogna, della colpa o dell’inadeguatezza delle scelte precedenti, del non aver paura di se stessi riguardo quelle attuali sia che rimangano invariate nella loro rappresentazione sia che cambino radicalmente.
Questo processo deve essere ben chiaro e ridefinito prima di tutto dallo Psicoterapeuta rispetto all’immagine che ha di se stesso e del mondo prima di rapportarsi ai pazienti.
Al contrario esiste ancora una società per molti aspetti non disponibile né tantomeno pronta ad accogliere alcune diversità, siano essere rappresentate da persone risolte che problematiche.
Le dinamiche sociali sono alla base della vita umana pertanto sono rilevanti nel modello di psicoterapia che propongo.
Non è una novità che negli ultimi anni si osserva un’organizzazione del tessuto sociale maggiormente rivolta all’individualismo, alla prevalenza dell’uno sui molti, alla scarsa fiducia nell’altro, alla poca apertura verso il nuovo e il diverso e in generale a una chiusura rispetto alla collettività.

Tale realtà è spesso mascherata dal suo opposto: un aumento di contatti, scambi, interazioni, conoscenze dovuto al web, alla possibilità di viaggiare e spostarsi con maggiore facilità, all’integrazione dei percorsi di studio e lavoro tra paesi lontani.
Considero una maschera questa multi-socialità partendo da un dato di fatto generale: il Disturbo Depressivo è sempre più presente nella Salute Pubblica Mondiale fino a diventare la prima malattia per incidenza, avendo superato quelle cardiovascolari.
Questa verità macroscopica la osservo nel mio piccolo campo di appartenenza, chiaramente la Psicoterapia.
Rilevo negli anni un progressivo depauperamento del valore sociale della relazione con gli altri e questo è maggiormente osservabile nel lavoro di gruppo. Il pensiero, le immagini dei sogni, la predisposizione dei pazienti rappresentano la testimonianza dell’acquisizione progressiva di un modello culturale di dominanza e necessità del singolo o non oltre la relazione duale.

Nella stessa elaborazione profonda dei sogni, materiale a mio avviso dirimente anche degli aspetti storici assorbiti inconsciamente da ognuno di noi, le immagini che emergono, pur non modificando il processo elaborativo e di cura in corso, sono sempre più prive di riferimenti al sociale, al mondo e più in generale, agli altri.
Con difficoltà emergono personaggi che appartengono alla società politica, artistica, culturale, sportiva del presente o del passato così come i luoghi non escono più di tanto dagli spazi conosciuti.
Credo che la spiegazione risieda in un’attitudine storica più che personale al rivolgere una maggiore attenzione al sé e al piccolo della propria comunità, in mancanza di figure di riferimento che riescano a fare da presa sull’inconscio collettivo.
Anche se queste figure esistono perché l’umanità fuor d’ogni dubbio ne possiede sempre in abbondanza, si sta sviluppando una matrice individualistica che distoglie dall’interesse esterno o vi è anche la possibilità che un eccesso di immagini cui affidiamo ogni giorno di più il nostro interesse tramite Internet porti a una diminuzione della capacità di poter selezionare in base allo stimolo affettivo generato da quella stessa immagine.

Queste rilevazioni, sempre più frequenti, sono di stimolo per una riflessione vera sullo stato dei tempi delle relazioni e del modo di interagire tra esseri umani legata al periodo storico che stiamo vivendo e sono da me utilizzate in Psicoterapia per lavorare all’interno dei Gruppi sulle dinamiche sociali.

Michele Battuello