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Sull’Identificazione

Le speculazioni sull’identificazione in campo psicoterapeutico sono storicamente innumerevoli e raggruppano una serie di posizioni volte a considerarla un processo fisiologico per lo sviluppo psicofisico del bambino in particolare come dinamica di base per la costruzione dell’identità.
Il mio intento è di raccontare come invece l’internalizzazione dell’immagine del genitore riscontrabile nei sogni del paziente/adulto a rappresentazione di un modello interno di riferimento, corrisponda a una dinamica di rapporto originaria non fisiologica, l’identificazione per l’appunto.
Per ricercare nel paziente gli aspetti della sua evoluzione che non sono andati secondo fisiologia, per comprendere e risolvere le dinamiche precoci messe in atto come conseguenza di questi ostacoli, utilizziamo, in psicoterapia, i contenuti dei sogni poiché possono raccontare i vissuti dei primi anni di vita, fondamentali nel porre le basi di certezza di sé e pertanto di identità del futuro adulto.
Nell’esperienza clinica, non si rintracciano sogni contenenti identificazioni che facciano riferimento a periodi molto precoci della vita del bambino che non siano contestualizzati in una matrice disfunzionale o francamente patologica.
Nel momento in cui accade un qualcosa nel rapporto con il genitore, in particolar modo con la madre o l’adulto di riferimento, che non corrisponde pienamente alle esigenze affettive e relazionali adeguate allo sviluppo fisiologico del figlio, il bambino inizia a costruire e attivare delle dinamiche compensatorie o alternative per proseguire comunque il suo processo evolutivo.

In questo modo è obbligato a sacrificare e allontanare da sé in parte il suo investimento affettivo spontaneo e predisposto fin dalla nascita, che abbiamo chiamato Potenziale Umano, perché vissuto come pericoloso o spiacevole a causa del riscontro deludente ricevuto dall’adulto.
Se il bambino prende una distanza importante dalla sua predisposizione affettiva e pertanto diminuisce l’investimento del suo Potenziale Umano per salvare il rapporto con la madre, cambia il livello della dialettica interumana e il primo e più importante svantaggio è che quando la madre non è presente, il bambino inizia ad angosciarsi.
L’angoscia è diversa dalla fisiologica ansia di separazione che è un processo evolutivo faticoso ma comunque affrontabile quando lo scambio affettivo è valido: in poche parole quando la madre inizia a separarsi dal figlio e viceversa, il bambino riesce a superare il dolore della separazione trasformando con la fantasia la madre non presente in quel momento.

Invece identificandosi, e pertanto prendendo in prestito l’immagine dell’altro, nello specifico, della madre, il bambino non costruisce la sua identità ma all’opposto, vi rinuncia parzialmente.
Laddove ha dovuto disinvestire nel rapporto e allontanarsi in parte dalla sua potenza affettiva, deve prendere parti dell’altro per mantenere il rapporto stesso altrimenti il rischio è l’angoscia, il senso di vuoto, perdita, dispersione e frammentazione di sé.
Incastonato nella dinamica di identificazione, l’essere umano rimarrà viziato a un senso del rapporto come “bisogno di” invece di “ricerca di”.
Anche se il bambino identificandosi riesce a proseguire in un certo modo il suo sviluppo e a costruirsi un’identità, come avviene nella maggior parte dei casi, è sempre un’identità incompleta perché si porta dentro parti dell’altro per rimanere in piedi.

Le immagini oniriche dei pazienti che sono dovuti ricorrere a tali modalità nel periodo evolutivo rappresentano molto spesso situazioni attuali o passate in cui l’azione e la dinamica raccontate non sono mai autonome ma c’è sempre un vicario che le permette, o il genitore origine dell’identificazione, la madre o il padre o la riproposizione di figure con significato equivalente del periodo adulto, partner, amici, colleghi di lavoro, a dimostrazione che il sé da solo non riesce a portare a termine l’intenzione narrata nel sogno.
Il rapporto valido invece riesce a creare un’immagine affettiva interna, una fantasia puramente inconscia, che permette al bambino progressivamente di stare bene anche senza la madre utilizzando questa immagine come risorsa per proseguire il suo sviluppo attivando la fantasia cosciente con il gioco, l’osservazione e l’esplorazione del mondo.
Se il genitore è affettivamente non adeguato pertanto, per contrastare il pericolo di smarrimento, il bambino deve costruire un’idealizzazione protettiva della madre, vivendola comunque come perfetta, introiettandone l’immagine per non perderla e iniziando un disinvestimento affettivo su se stesso e il mondo circostante a causa della necessità obbligata di mantenere integro e presente il rapporto ed evitare l’angoscia della delusione e di separazione quando la madre non è fisicamente presente.

L’immagine interna introiettata e fissata della madre o dell’adulto di riferimento inizia a funzionare come una gabbia, blocca il bambino in un’acquisizione forzata della madre stessa, di conseguenza la fantasia inconscia rallenta a causa del disinvestimento affettivo.
Quando la relazione ha una qualità affettiva valida è possibile un processo di separazione sano dalla madre e l’immagine equivalente non è introiettata o identificata, ma diventa possibilità di trasformazione in immagine nuova, libera e autonoma, alla base di una vera costruzione dell’identità del bambino.
Tale processo trasformativo di fantasia e pertanto di separazione si realizzerà al massimo della sua espressione all’adolescenza e analogo processo avviene alla conclusione della psicoterapia: il paziente che ha ritrovato il suo Potenziale Umano e ha risolto la psicopatologia troverà nuovamente la libertà di attivare la fantasia pertanto anche le immagini interne valide che contenevano la psicoterapia si trasformeranno in immagini completamente slegate dal contesto psicoterapeutico come riconoscimento di identità autonoma del paziente stesso.

È utile specificare che le forme di identificazione assumono una valenza diversa a seconda della potenza con cui sono state costruite e pertanto fanno capo a quanto la lacuna nella relazione affettiva sia stata precocemente importante come qualità ma anche come tempo di insorgenza: è diversa la situazione se il periodo che il bambino ha potuto vivere nella tranquillità dell’espressione e dell’investimento del Potenziale Umano fin dalla nascita sia stato più o meno lungo.
Così come il tempo, anche la potenza in termini qualitativi della relazione non valida gestita dal genitore lascia segni diversi rintracciabili in immagini oniriche differenti, fino al completo annullamento del bambino cui possono corrispondere dinamiche di totale annichilimento del sé o fusione completa con l’immagine del genitore annullante e rifiutante.

Nella maggior parte dei casi affrontati in psicoterapia, l’identificazione è avvenuta in maniera parziale lasciando spazio a finestre di vissuti validi che nel complesso hanno potuto costruire le basi per un’identità adulta in grado di realizzare obiettivi lavorativi, relazionali e affettivi anche se, come detto, parziali.
Si riconferma come l’entrare in relazione sia una capacità e una volontà di entrambi (bambino/paziente; madre/psicoterapeuta) ed è il passo primario e imprescindibile grazie al quale poi tutti i membri delle due coppie si vivono il rapporto mettendo in gioco il loro Potenziale Umano, il bambino al massimo della sua espressione, la madre in base alla sua storia evolutiva personale, il paziente in base agli elementi residuali rispetto alla psicopatologia, lo psicoterapeuta ritrovando la sua forma sana e quindi bambina nel lasciarsi andare alla relazione psicoterapeutica finalizzata alla cura.
Trattandosi di un investimento affettivo, come appena descritto, si instaura uno scambio reciproco finalizzato alla realizzazione del sé, per l’adulto/madre come continuo e progressivo viversi l’identità, per il bambino come inizio della costituzione dell’identità stessa.

Pensando ai modi di relazione dell’adulto sano come del bambino, non si riescono ad apprezzare dinamiche di identificazione con l’altro: in un rapporto di amicizia, in una relazione amorosa, all’interno di un sistema familiare continuamente si entra ed esce da una comunicazione affettiva, è un dare e un prendere reciproco in cui gli elementi validi dell’altro accrescono l’identità e la qualità del rapporto.
Sicuramente c’è un assimilare comportamenti, pensieri, interessi dell’altro nella relazione poiché il contesto ha un’importanza fondamentale nello sviluppo e nell’evolversi di ogni essere umano come le neuroscienze ci continuano a dimostrare in termini non solo psicologici ma anche neurofisiologici, ma non possiamo considerare il processo evolutivo come regolato dall’identificazione.
L’elemento discriminatorio tra investimento affettivo sul mondo e identificazione è, come precisato dall’inizio, la traccia mnesica inconscia che in maniera netta e inequivocabile mostra che le dinamiche di identificazione sono una risposta non fisiologica al rapporto con l’altro, e questo elemento clinico, rintracciabile nei sogni e nella relazione, ci ha permesso di uscire da una speculazione puramente filosofica e concettuale lontana dalla fisiologia umana di interesse per il trattamento psicoterapeutico.

La dialettica madre-bambino ha un’enorme potenza affettiva e considerando il bambino come parte attiva della relazione, questo lo pone inevitabilmente di fronte a due aspetti peculiari conseguenza del fisiologico Potenziale Umano che investe nella relazione stessa.
Il vantaggio, che è una delle risorse più importanti cui attingiamo in psicoterapia, è che il suo Potenziale alla nascita è intatto, funzionale, puro e quindi gli consente la massima espressione di sé nei rapporti ed è recuperabile durante il percorso di lavoro con il paziente.
D’altro canto il bambino si relaziona con un adulto che come tale, può aver subito nel corso del suo sviluppo attacchi più o meno potenti all’espressione del suo Potenziale Umano da parte degli adulti di riferimento o aver vissuto episodi traumatizzanti e aver pertanto adattato le capacità relazionali e di investimento affettivo alle risposte non valide dell’ambiente esterno.
Il confrontarsi con la capacità e possibilità affettivo/relazionale del proprio figlio può riattivare vissuti inconsci spiacevoli che ostacolano la spontaneità dello scambio proposto dal bambino stesso.

Michele Battuello