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Sulla Coazione a Ripetere


Al termine della separazione estiva,
tempo per la coppia psicoterapeutica di metabolizzazione del rapporto, più prolungato rispetto agli incontri settimanali, di crescita e sperimentazione identitaria reciproca, osservo con maggiore chiarezza le difficoltà di parte della psichiatria e psicoterapia contemporanee nell’approccio alla realtà umana del paziente, identificata troppo e troppo spesso unicamente con la sua psicopatologia.

E capisco che esiste sempre meno tolleranza per una delle dinamiche più tangibili del paziente: la coazione a ripetere, la ripetizione, per l’appunto, di pensieri, comportamenti e stati d’animo analoghi ai precedenti, nonostante il lavoro affrontato nel setting.

Se il paziente non modifica la psicopatologia allora è chiaro che il problema è costituzionale, organico, implicito nella persona che diventa a tuttotondo un paziente e basta, pensa l’organicista che si basa sempre più sui fatti.

Le teorie, di ampio raggio metodologico, che nei decenni, hanno descritto il significato di questo movimento circolare e incessante, sono dimenticate, o forse proprio negate, dalla frustrazione che generano nello specialista che si ritrova costretto ad affermare che alla fine il paziente è fatto così, ciò che fa è parte integrante della sua malattia poiché presenta comunque le stesse rappresentazioni di Sé.

Niente di più pericoloso per la persona che si ritrova ancora nella paura che allora è proprio vero che c’è qualcosa che non va in lui o in lei come già temeva prima di chiedere aiuto, da molto tempo, spesso fin da molto piccolo.

A maggior ragione la coazione a ripetere, si mantiene, si rinforza o compare di nuovo.

Lo psicoterapeuta si allontana dalla realtà umana del paziente se cerca di dare risposta alla pressione socio culturale che gli chiede di funzionare velocemente, del tutto e subito, della soluzione immediata a un problema, come riportavo all’inizio della separazione estiva, (https://www.mbpsicoterapia.it/incontri-sul-sogno-e-la-sua-interpretazione-in-psicoterapia/ ) proponendo strade scollegate dal rapporto, da quello specifico rapporto, di quella coppia psicoterapeutica in quel momento storico per trovare una criterio metodologico applicabile a tutti.

La realtà esterna alla Psicoterapia preme e stressa la relazione perché ci sono i farmaci, sempre più usati con il noto ritornello dell’ultimo uscito con maggiore efficacia e minori effetti collaterali, le alternative psicoterapeutiche, tante, pubblicizzate ovunque, con la loro costellazione di innumerevoli e variegati approcci alla persona ma fondate sulla soluzione veloce e su un marketing vincente.

Ci sono anche gli approcci non psicoterapeutici che nascono come conseguenza delle divisioni, conflitti, diatribe della Cultura Psicoterapeutica (https://www.mbpsicoterapia.it/la-cultura-psicoterapeutica/ ) e che spingono la persona all’auto-autonomia, a saldare l’individualismo sotto il nome di forza interiore con l’imperativo conosci e cura te stesso.

Il dominus è: puoi farcela da solo (in realtà la richiesta implicita è il DEVI).

Tutto questo si muove come uno tsunami dentro l’oceano del web che offre risposte e spiegazioni a ogni questione permettendo a tutti di diventare esperti di tutto impedendo la differenziazione individuale e collettiva e con essa le sfumature in quanto la chiave di presentazione, lettura e interpretazione è solo 1-0, on-off, tutto-niente, giusto-sbagliato.

Lo Psicoterapeuta non è sopra agli altri ma è in mezzo agli altri e come persona, di conseguenza poi come professionista si può perdere se si identifica con tali richieste.

E dietro a lui o a lei il paziente che, con le risorse che ha a disposizione ripropone o continua a manifestare la sua coazione a ripetere che oltre a essere una strategia precoce, seppur in parte disfunzionale, di sopravvivenza al dolore psichico è anche una richiesta di aiuto.

Se il perdurare della circolarità e la ripetitività sono percepite, interpretate e di conseguenza affrontate come la costituzione psicopatologica della persona che prima o poi ricompaiono a causa della frustrazione che generano nello psicoterapeuta pressato dall’imperativo individualista precedentemente descritto, il paziente continua a essere paziente, mantenendo i sintomi o in casi sempre più frequenti negli ultimi anni, abbandona la Psicoterapia perché non trova risposte.

L’altra facciata della medaglia include la persona/paziente stesso che a sua volta è condizionato dalla pressione comunicativa esterna che chiede e pretende sempre e comunque il funzionamento e spinge il rapporto psicoterapeutico all’azione, al cambiamento come costruzione di un forte individualismo piuttosto che un processo di individuazione come separazione dalle dinamiche identificatorie (aspetti completamente opposti e diversi della realtà umana, https://www.mbpsicoterapia.it/differenze-tra-autonomia-e-individualismo-dello-psicoterapeuta/ ).

Ne deriva che la tensione all’interno del setting legata agli aspetti esterni che di prepotenza entrano nella stanza è fortemente percepibile ma diventa conflitto quando si incontra con la medesima tensione che lo psicoterapeuta porta nella stanza dal suo mondo esterno e il risultato finale è la sfiducia nel rapporto e il probabile fallimento della Psicoterapia.

La coazione a ripetere è invece una situazione in cui il professionista può stare se abbandona i condizionamenti culturali sulla realtà umana e ascolta quanto diverso è il significato di ogni, apparentemente identica, ripetizione di modalità psicopatologiche precedenti del paziente.

Come la frase “Ti voglio bene” è sempre quella nella sua costruzione lessicale, così la sua espressione è invece sfumata da emozioni, che ci fanno reagire diversamente a seconda del contenuto e dell’effetto che quel contenuto ci fa in quel momento che non è mai lo stesso.

Ritorno così alla parola inconscio che, usata in infinite declinazioni, oggi più che mai significa dare la possibilità alla relazione di essere, di stare, di essere ascoltata, opponendosi alla forza centrifuga che chiede di andare avanti e funzionare ma fuggendo in questo modo dai rapporti.

L’introspezione teoricamente più matura dello Psicoterapeuta deve portare al riconoscimento del caso in cui lo stesso professionista si stia identificando con una proposizione/provocazione esterna (sociale e culturale) che obbliga a dare al paziente delle risposte velocemente, dando così potere al presente e dimenticando il passato come storia e senso di appartenenza alla relazione (https://www.mbpsicoterapia.it/la-fragilita-del-presente-se-non-si-appartiene-al-passato-in-psicoterapia-e-nella-cultura-contemporanea/ ) e causando una diffusione identitaria drammatica di entrambi i membri della coppia che provoca il malessere della relazione e il suo stallo o la sua interruzione.

Così la coazione a ripetere può essere compresa nell’inevitabile riproposizione della storica psicopatologia ma che di volta in volta assume sfumature e significati comunicativi diversi che devono essere riconosciuti per permettere il cambiamento e la risoluzione delle dinamiche stesse.

Non possiamo credere e pretendere che l’alleanza psicoterapeutica magicamente porti la sparizione della psicopatologia solo perché per un certo periodo il paziente sta meglio.

Il paziente trova un rapporto che si basa sul riconoscimento dell’altro come persona avente una sua dignità e identità nonostante la malattia: è un passaggio fondamentale per separare l’identificazione storica del paziente con la sua problematica.

Il riconoscimento sentito e accolto dal paziente incontra i meccanismi di difesa che si oppongono al rapporto stesso perché si ricrea il rischio del dolore e della delusione vissute dal bambino ferito dal non riconoscimento esterno (il genitore) https://www.mbpsicoterapia.it/sintesi-dellorigine-del-senso-di-vuoto/ .

Il paziente adulto non può fidarsi profondamente del rapporto solo perché si è instaurata l’alleanza psicoterapeutica: quando percepisce inconsapevolmente il rischio che sta correndo lasciandosi andare, resiste, propone la coazione a ripetere ma non è sempre la stessa.

Nel lavoro di interpretazione della relazione e dei sogni compaiono aspetti più maturi, pertanto affettivi di Sé, anche se si esprimono nel contesto prevalente della difesa, del mantenimento del sintomo e del pensiero patologico e ripetitivo.

Lo psicoterapeuta in reale ascolto, coglie e riconosce la diversa affettività della qualità relazionale, del pensiero, degli affetti espressi e così può continuare a frustrare le dinamiche patologiche ancora sostenute dai meccanismi di difesa.

Altrimenti la relazione si focalizza solo sulla frustrazione della ripetizione patologica obbligando a rinforzare un pensiero inconscio reciproco di impossibilità di guarigione e cambiamento.

Tutto questo richiede tempo e ancor di più oggi in risposta alla cultura contemporanea, la Psicoterapia ha bisogno del lavoro inconscio basato anche sull’interpretazione dei sogni che permette il pieno riconoscimento della realtà umana della persona quando questa è persa o confusa dalla prepotenza del pensiero cosciente sociale che non sempre va nella direzione del desiderio di realizzazione ma anzi lo nega.

La maggiore necessità di tempo qualitativamente valido non ha nulla a che fare con l’immagine storica di analisi lunghissima o addirittura interminabile ma come risposta affettiva alla relazione che ha una qualità anche nel riconoscere la maturazione della persona/paziente e la fondamentale possibilità, ritrovata, di separazione (https://www.mbpsicoterapia.it/adolescenza-dei-figli-e-messa-in-crisi-del-genitore-in-psicoterapia/ ).

Il Centro di Psicoterapia di Roma, continua a proporre, dopo questo periodo di separazione estiva, l’importanza della Ricerca in Psicoterapia come lavoro sulle dinamiche inconsce e l’interpretazione dei sogni: il lavoro in questo ambito può essere inteso solo come incontri sul sogno tra colleghi per evitare l’identificazione con concettualizzazioni e teorizzazioni lontane dalla realtà affettiva del sogno stesso (https://www.mbpsicoterapia.it/incontri-sul-sogno-e-la-sua-interpretazione-in-psicoterapia/ ).

 

Michele Battuello