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Ritrovamento del senso di appartenenza nei sogni in Psicoterapia


Viviamo di immagini, pensiamo attraverso immagini, sogniamo immagini.

Esse sono utilizzate e prodotte dal nostro sistema nervoso in continuazione inarrestabilmente.

Usiamo le immagini per stimolare i bambini fin da piccoli e associamo le espressioni migliori degli esseri umani alla loro capacità di crearle o ricrearle, all’interno di quel grande contenitore che chiamiamo arte che, nell’estensione più ampia del termine, appartiene a ognuno di noi tramite la fantasia.

Le immagini sono anche e soprattutto uno strumento importante nell’ambito della salute mentale, usate per mettere in contatto il paziente con le emozioni, per fini diversi: dallo stimolare i ricordi, a ritrovare dei canali di comunicazione con il mondo esterno usando il disegno, la stimolazione visiva e numerose tecniche che possono coinvolgere dal bambino molto piccolo all’anziano proprio perché coinvolgono tutti in maniera trasversale.

Per la centralità che hanno nella nostra vita le immagini, credo che siano notevolmente trascurate proprio quelle che ci appartengono di più che sono quelle che ritroviamo nei sogni: è così tanto utilizzato il lavoro con la fantasia all’interno della Salute Mentale così quanto è sottovalutata quella inconscia onirica.

È una scelta della Cultura Psicoterapeutica contemporanea che ha radici profonde e che mostra l’ambivalenza e le contraddizioni di significati tra la pratica clinica e le concettualizzazioni teoriche, espresse dall’aumento dell’incidenza dei disturbi mentali nella popolazione mondiale.

Le persone si ammalano di più anche in parte perché la Cultura Psicoterapeutica non riesce a dare risposte efficaci andando dietro e non opponendosi alla Cultura contemporanea che rende sempre più deboli le relazioni umane, sostenendo l’individualismo come pilastro dell’identità.

La Cultura Psicoterapeutica nelle parole coscienti contrasta questa denaturalizzazione della relazione, nelle espressioni profonde si sottrae allo scopo del suo esserci nel mondo, come ho descritto altrove https://www.mbpsicoterapia.it/la-cultura-psicoterapeutica/ .

La mia reazione a questo si manifesta continuando ad ascoltare i sogni in Psicoterapia, e interpretarli evitando il pensiero cosciente a priori, affidandomi all’alleanza psicoterapeutica che è la reciproca fiducia nella relazione di cura.

Così come svuoto ogni opera d’arte che osservo di un ipotetico significato cosciente poiché non posso interagire con l’artista e mi godo le sensazioni che mi provoca e basta.

Una paziente in Psicoterapia rappresentava nei sogni la sua storica identificazione con la madre attraverso frequenti scene di interazione e rapporti con un uomo sempre resi possibili dalla presenza di un’altra donna.

L’incapacità precoce della madre di offrire risposte affettive certe, che si è concretizzata alle prime importanti separazioni dal rapporto con la figlia, a partire dallo svezzamento, aveva reso la paziente del tutto incerta sulle sue competenze relazionali e pertanto affettive.

Una madre che ha tenuto discretamente la qualità della relazione durante i primi mesi di vita, offrendo un substrato di attivazione e espressione del Potenziale Umano della figlia indispensabile per le basi esistenziali, non appena ha vissuto l’impotenza del tenere fusa a sé la figlia stessa, ha completamente lasciato la presa e si è concentrata sulle cure pratiche ma trascurando d’un tratto quasi del tutto quelle affettive https://www.mbpsicoterapia.it/il-potenziale-umano-introduzione/ .

La figlia ha fatto esperienza di un’improvvisa angoscia di perdita, sentendosi sottratta il tesoro affettivo della qualità relazionale e, come spesso succede in questi casi, ha dovuto sopperire a una mancanza così potente da rischiare di bloccare il proprio sviluppo psicofisico, tramite una altrettanto potente identificazione con la figura materna https://www.mbpsicoterapia.it/superamento-dellangoscia-nei-sogni-in-psicoterapia/ .

Tutto questo, che abbiamo affrontato insieme soprattutto nel lavoro di interpretazione dei sogni durante i primi mesi di Psicoterapia, si manifestava con una scarsa autostima, con la necessità ma anche la paura di legarsi agli altri, dagli amici di scuola ai primi fidanzati e soprattutto con la paura di rivivere l’angoscia di rifiuto e abbandono che inconsciamente era evitata con un’estrema intellettualizzazione che spesso sfociava nel pensiero astratto.

In questo modo era evitato, o quasi, qualsiasi rischio emotivo protetto da un’apparente superiorità rispetto a chiunque e qualsiasi cosa e dallo spostamento su obiettivi lontani dalla realtà attuale, spesso trascendentali, come scopo dell’esistenza.

In realtà la paziente aveva una gran voglia di amare ed essere amata.

Ritornando ai sogni di identificazione, come dicevo, per un determinato periodo, la paziente si ritrovava in scene erotiche in cui per arrivare all’atto sessuale doveva subentrare in campo per forza sempre una terza persona, generalmente una donna.

Le immagini del racconto, pertanto del qui ed ora della relazione tra me e la paziente stessa, non avevano nulla di erotico, nel senso che il contenuto emotivo del sogno non toccava minimamente corde riconducibili a desiderio, anzi, seppur a tinte molto forti, i sogni erano piatti, asettici in cui prevalevano molte immagini strettamente legate all’atto sessuale o ai genitali.

In questi sogni era chiaro, e così è stato interpretato, che il dubbio di sentirsi emotivamente capaci, o meritevoli di amore, o di possibilità di vivere il proprio desiderio, aveva portato la paziente a rappresentarsi bisognosa dell’intervento di una seconda rappresentazione di sé, storicamente la madre, come figura necessaria per crescere e realizzarsi.

La paziente non sentiva di appartenere a se stessa e l’altro, dalla madre al compagno di turno o in loro assenza dall’idealizzazione, le rappresentava un bisogno imprescindibile cui aggrapparsi in un’esistenza percepita come rivolta a evitare quell’angoscia che l’aveva investita precocemente e che viveva come suo deficit originario.

Il prezzo da pagare nella ricerca di questa continua presenza e certezza dell’altro era che niente era suo, le apparteneva e soprattutto poteva essere fonte di soddisfazione: nei sogni, infatti, la fantasia era totalmente assente e alla presenza necessaria dell’altra donna si associavano scene sessuali svuotate di ogni possibile piacere.

In questo caso mancava del tutto un senso di Sé e della propria storia, senso che è alla base dell’identità, come conseguenza di non poter trattenere né investire qualità affettive nelle relazioni con il mondo circostante.

Il qui ed ora non era quasi mai contattato perché costretto in una continua proiezione esterna, mentale o nel futuro, come abitudine ad evitare il rischio dell’angoscia e del rifiuto sempre presenti incessabilmente.

In Psicoterapia abbiamo elaborato e soprattutto trasformato queste dinamiche identificatorie con una riacquisizione progressiva di un senso dell’essere in se stessa e nel mondo della paziente, rappresentato da un qui e ora affrontabile, in un’autostima ritrovata, così come qualità relazionali e obiettivi di vita più veri, ma soprattutto possibili, cosa per lei impensabile fino a pochi mesi prima https://www.mbpsicoterapia.it/sintesi-dellorigine-del-senso-di-vuoto/ .

Negli ultimi tempi la paziente si può così soffermare sul recupero di un pieno senso di appartenenza alla sua storia, che è uno dei tasselli fondamentali per la chiusura di una Psicoterapia: il miglioramento del qui e ora come possibilità di starci senza fuggire, si accompagna di solito in un secondo tempo a rivisitare consciamente ma soprattutto inconsciamente la propria storia per ritrovare tutte quelle esperienze a forte impatto emotivo che erano protette e bloccate dalla difese conseguenti alle dinamiche di identificazione.

I pazienti in questi casi si accorgono che, a differenza di quanto credevano, hanno vissuto numerose esperienze di alto impatto emotivo, inevitabili nell’esistenza di ciascuno di noi, ma che erano automaticamente soppresse, negate o anestetizzate dai meccanismi di difesa automatici di fuga continua per evitare il rischio dell’angoscia.

Liberarsi dai meccanismi di difesa ha permesso alla paziente di vivere meglio il presente anche grazie al potersi ritrovare il passato nella sua integrazione di esperienze che, come detto, è alla base del senso di appartenenza come possibilità di autonomia dell’individuo.

Un sogno molto potente ha rappresentato il superamento ma anche l’integrazione con le immagini dei sogni descritte prima.

La paziente si trovava a lavorare in un frutteto con altre persone, era contenta, stavano insieme, anche se ognuno raccoglieva la sua frutta.

Arriva il momento della pausa desiderato perché fatto di momenti ancora più conviviali come prendersi il caffè e chiacchierare con gli altri.

Durante questa pausa la paziente incontra il fidanzato attuale che la vede e la abbraccia, e allo stesso tempo arriva anche il ragazzo che ha frequentato l’anno precedente, due relazioni recenti e vissute diversamente dal passato.

Si ritrovano e hanno, tutti e tre, voglia di andarsene a camminare insieme, si abbracciano e si avviano.

La dinamica più potente ed emozionante di questo sogno è il ritrovamento del senso di appartenenza a sé e pertanto all’esistenza: mentre in passato per la paziente ogni separazione, intesa come passaggi di crescita e autonomia era fonte di angoscia per cui l’unica possibilità era agganciarsi, identificandosi, al rapporto, idealizzato o concreto, non potendosi quindi concedere spazi o momenti liberi, ora questo è possibile.

La raccolta della frutta è la relazione con il mondo, sempre presente ma con la propria autonomia, il proprio desiderio, i propri frutti da raccogliere.

Le separazioni non sono più dei momenti di angoscia, anzi diventano piacevoli, la pausa con il caffè nel sogno e, ancora di più, rappresentano il momento in cui è possibile unire, mettere insieme le esperienze vissute, i due ragazzi con cui si abbraccia, che continuamente permettono all’essere umano di mantenere e incrementare un senso di appartenenza alla propria esistenza, come un ponte che collega le esperienze stesse https://www.mbpsicoterapia.it/la-fragilita-del-presente-se-non-si-appartiene-al-passato-in-psicoterapia-e-nella-cultura-contemporanea/ .

Il sogno è il capovolgimento delle immagini in cui era sempre necessaria un’altra donna per arrivare all’atto sessuale: quell’impossibilità di esistere veramente perché la paziente era affannata a trovare in continuazione un modo per sfuggire alla paura del presente, al rischio che qualsiasi separazione e possibilità di crescita fossero associate al rischio di morte, diventa il ritrovamento della Fisiologia della Relazione https://www.mbpsicoterapia.it/interpretazione-delle-dinamiche-inconsce-in-psicoterapia/ .

Questa caratteristica vale per tutti gli esseri umani ed è quella che ritroviamo o ricostruiamo in Psicoterapia: la capacità di lasciarsi andare come attivazione della fantasia e del desiderio verso il mondo esterno, liberi dalle costrizioni dell’identificazione come conseguenza della non risposta affettiva del genitore e la successiva possibilità di separarsi che diventa, realizzazione di sé come contatto introspettivo e personale delle esperienze vissute che possono aderire al senso di sé e di appartenenza perché non più rischiose.

Nel sogno si ritrovano altri aspetti importanti della paziente, come l’entrare in contatto con i due fidanzati degli ultimi anni che hanno rappresentato un modo diverso di potersi vivere gli affetti a conferma che è oramai possibile per lei non solo vivere ma anche trattenere esperienze piacevoli senza rischi.

Per quanto riguarda il bisogno dell’altro, il lavoro con gli alberi da frutto e lo stare insieme sono esplicativi: la condivisione del momento ma ognuno con il proprio personale modo di viversi e gustare la relazione, l’esatto opposto del bisogno che acceca il desiderio e rende il rapporto con l’altro un atto meccanico e piatto.

Come in altre pagine, ho riassunto brevemente, alcuni contenuti che emergono dai sogni ma soprattutto dalla relazione con il paziente grazie alla quale è possibile dare significato al sogno, interpretandolo, per raccontare quanto sia sempre più utile e necessario, soprattutto oggi, restituire dignità e profondità di contenuti alla relazione psicoterapeutica.

 

Michele Battuello