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Psicoterapia e modelli teorici di riferimento

La Psicoterapia è la cura della relazione con la relazione.

Nello spazio e nel tempo dell’incontro con il paziente o i pazienti nel caso del lavoro con i gruppi, pertanto all’interno del setting, l’identità dello Psicoterapeuta è messa in gioco con l’espressione della sua personalità che contiene anche il suo percorso psicoterapeutico personale così come quello formativo e i modelli teorici che ha conosciuto e approfondito per esperienza, scelta e passione.

I pazienti che hanno affrontato precedenti percorsi psicoterapeutici, i colleghi e diverse altre esperienze (letteratura, convegni etc.), non di rado raccontano dell’utilizzo di riferimenti, durante le sedute, a modelli, personaggi specifici, filoni, correnti e società che lo Psicoterapeuta segue o cui aderisce o che propone in forma di lettura, ascolto, partecipazione.

Credo che i piani vadano nettamente separati per evitare che l’efficacia della cura sia inquinata e messa a rischio dalla teorizzazione e dalle sue conseguenze.

Potrebbe accadere che tali riferimenti rappresentino un rinforzo del ruolo dello Psicoterapeuta nella relazione, laddove invece questo, sotto alcuni aspetti, deve essere necessariamente neutralizzato.

La sicurezza, infatti, che il potersi appoggiare se non agganciare a una struttura teorica portante, da una parte aiuta nei momenti in cui la relazione appare ferma, difficile, se non addirittura rischiosa, dall’altra obbliga il processo psicoterapeutico a sintonizzarsi su un piano cognitivo cosciente che aggira e io aggiungo, raggira, le richieste e le necessità relazionali del paziente per la cura che si possono sintetizzare con la messa in gioco dei piani emotivo-affettivi della coppia o del gruppo.

In questo modo il ruolo che lo Psicoterapeuta assume ancora di più di quanto il paziente inevitabilmente crede e spera è della persona che sa, conosce, spiega, rendendo fortemente disequilibrata la relazione.

Le difese del paziente che cerca una risposta cosciente al suo dolore per tentare, comprensibilmente, di oltrepassarlo o evitarlo, si incontrano con le difese dello Psicoterapeuta che ha necessità di utilizzare un sistema di appoggio solido e sicuro, la teoria, e in questo modo la relazione si sposta dai contenuti emotivi rischiosi per entrambi, al confronto razionale.

Il rapporto psicoterapeutico nel tempo si può arrestare o proseguire ma in termini di efficacia entrambe le possibilità sono simili, perché il valore relazionale è andato perduto o è molto limitato.

Questo, come ho già descritto altrove, non significa che lo Psicoterapeuta non abbia o non possa avere un ruolo nella relazione ma questo è reale ed efficace nel momento in cui è conseguenza e non premessa, di un riconoscimento spontaneo di uguaglianza tra esseri umani in Psicoterapia e in generale nelle relazioni.

Il paziente entra nel setting con la sua coscienza dominante che contiene schemi, ruoli, valori etici e morali necessari, che si è attribuito o gli hanno attribuito e da cui può spogliarsi per poter essere e ritrovare se stesso solo nel caso in cui incontra un essere umano che gli offre questa possibilità, pertanto privo di un assetto cosciente, teorico, di ruolo pronto all’uso.

È il paziente che è un teorico, se vogliamo usare questo termine, ed è obbligato a confrontarsi con un altro linguaggio, quello dello Psicoterapeuta, che gli è appartenuto un tempo ma che ha dovuto in parte sacrificare a vantaggio di modelli difensivi che gli permettessero di portare avanti il suo processo evolutivo e la sua vita adulta quando l’esterno affettivo-relazionale lo ostacolava o in generale non gli offriva un adeguato riconoscimento.

È lo Psicoterapeuta che non può essere un teorico ma anzi in ogni seduta deve proporre un’immagine che rifiuta ogni tentativo di attribuzione di ruolo necessaria al paziente a eludere il rischio emotivo che la relazione gli determina e questo è rappresentato dal sentirsi realmente e viversi come una persona di fronte a un’altra alla pari, senza ruoli.

Solo quando l’alleanza psicoterapeutica inizierà a consolidarsi su questa base affettiva di riconoscimento allora è chiaro che spontaneamente esiste e c’è la differenza di ruolo che è data dall’obiettivo: lo scambio relazionale è incentrato, rivolto e dedicato all’altro, il paziente, per la cura e la guarigione.

Per questo uno degli aspetti tra i più importanti ed espliciti che non deve essere presente in Psicoterapia in forma cosciente è il modello teorico di riferimento.

La teoria è nell’identità dello Psicoterapeuta implicita nella sua capacità e nelle sue caratteristiche relazionali e da una parte non deve essere di minimo interesse del paziente per la sua cura e dall’altra non deve essere di necessità per lo Psicoterapeuta per la cura stessa.

Le poche nozioni che chiamerei informative sul modello utilizzato sono già conoscenza del paziente tramite siti web, albo professionale, passaparola e comunque affrontate durante gli incontri di conoscenza e valutazione in cui è chiaro che delle basi sostanziali sul lavoro siano verbalizzate.

Personalmente riduco all’essenziale questo tipo di informazioni anche all’inizio per lasciare il più spazio possibile alla qualità relazionale.

Inoltre sia nelle fasi più avanzate della Psicoterapia, quando questa si avvia verso la conclusione, sia con i professionisti che rimangono all’interno dei Gruppi per proseguire la loro formazione ed esperienza sulle dinamiche gruppali, lascio molto poco spazio al racconto di autori o modelli che mi possono appartenere per lasciare sempre il più possibile libero lo spazio dalle contaminazioni esterne e per lasciare libero l’altro di cercare, scegliere, conoscere.

La teoria è un patrimonio che deve rimanere a disposizione della curiosità, della passione e degli interessi di ognuno di noi e chi se ne appassiona ha la possibilità di trovare gli aspetti che più corrispondono alle proprie corde senza la necessità di grandi suggerimenti dall’esterno, tanto più da parte dello Psicoterapeuta.

Questa libertà che lascio per primo a me stesso e di conseguenza al paziente in via di guarigione o guarito che domanda sugli aspetti teorici e/o allo Psicoterapeuta in formazione o che prosegue il proprio percorso di elaborazione dell’identità, rappresenta la concretezza che corrisponde alla separazione dei piani, teorico e psicoterapeutico, che ho descritto.

Le appartenenze, i modelli, gli spunti, i riferimenti dello Psicoterapeuta ci sono, devono esserci e sono fondamentali ma non c’entrano assolutamente nulla con le possibilità e le risorse del processo psicoterapeutico, invece, come accennavo all’inizio, sembra frequente sostenere, rinforzare, sottolineare ed esplorare la relazione utilizzando il linguaggio cosciente che fa capo alla teoria.

L’emergere di questo aspetto inoltre va in contraddizione per mancanza di coerenza, con un messaggio comunicato al paziente che propone in molti casi lo spazio psicoterapeutico come sospensione della realtà fattuale esterna alla seduta per permettere il lavoro su piani più profondi.

È chiaro che quelli che in generale si considerano aspetti culturali della realtà entrano nella seduta come patrimonio di entrambi, psicoterapeuta e paziente ma un conto è quando essi realmente emergono come elemento spontaneo, libero nel qui e ora della relazione, altro è quando sono utilizzati come una sorta di cassetto degli attrezzi del professionista cui attingere in determinati momenti e secondo specifiche necessità.

La necessità dello Psicoterapeuta sembra effettivamente essere di ancorare a una cornice visibile, concreta, tangibile, per eccellenza la teoria, dei contenuti che invece possono e devono essere svincolati da tale coscienza e che sono i vissuti che la relazione stessa attiva.

Michele Battuello