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Psicoterapia Combinata Individuale/Gruppo 6


Separazione definitiva dalla Psicoterapia, ricerca del diverso

Il percorso che il paziente intraprende con la psicoterapia è rivolto alla risoluzione della psicopatologia pertanto a un cambiamento che porti benessere ristrutturando il proprio processo evolutivo nel lavoro combinato individuale-gruppo.
L’adulto affronta, nella fase avanzata del lavoro di gruppo, il rapporto con il sociale come fondamenta dell’essere nel mondo della specie umana.
Il nostro obiettivo di psicoterapeuti, la cura della persona, è, di conseguenza, indirettamente di analisi e cura della società proprio perché restituiamo al paziente la capacità dell’essere nel mondo attraverso il senso dello stare con gli altri.
Il nostro lavoro si inserisce chiaramente all’interno del percorso di vita di una persona e ne esplora anche i tempi sociali, culturali che la caratterizzano nell’oggi della relazione e nell’allora.
Pertanto, condivido pienamente la definizione di Transpersonale dei colleghi della Gruppoanalisi Soggettuale, secondo la quale il paziente che abbiamo di fronte contiene al suo interno una storia ampissima pienamente permeata ad anelli concentrici dalla famiglia, ma anche dal quartiere, dalla città, regione e dal periodo storico e culturale che per alcune generazioni lo hanno preceduto e lo coinvolgono direttamente dalla nascita.
L’ex paziente andrà così a rivendicare nel suo sociale, la possibilità di trovare e vivere il senso dell’esistenza anche quando determinati contesti storico-culturali tendono a stravolgerla nei suoi assunti relazionali di base, esattamente come tali contesti possono agire o hanno agito sul singolo individuo.

La rivoluzione non si fa necessariamente con la piazza ma soprattutto tramite un processo di trasformazione progressivo della singola persona che, all’interno della collettività, nel tempo, può portare a un moto di cambiamento.
Per questo insisto e mi soffermo tanto sulla fisiologia degli esseri umani e sulla necessità di un unico linguaggio psicoterapeutico di base che possa portare avanti un cambiamento coerente e omogeneo nonostante i tempi complessi che inevitabilmente la storia ci porta ad attraversare.
La conclusione della psicoterapia concerne, come abbiamo visto, la trasformazione degli aspetti relazionali patologici in fisiologici come erano in origine per ogni persona poi diventata paziente.
Usiamo in maniera profusa la parola cambiamento perché è il cardine dell’intero processo: non è quello che si osserva solo al termine del percorso ma che si attiva dal primo incontro perché consiste nel pensare diversamente se stessi e la propria vita, accedere ai contenuti del sogno come possibilità di contatto con specifici vissuti affettivi originari, nel miglioramento dei sintomi, nell’innalzamento della qualità di vita fino ad arrivare al cambiamento conclusivo, che è la guarigione.
La guarigione è intesa come il raggiungimento di autonomia all’interno del lavoro psicoterapeutico.

La relazione nel setting ha acquisito una maturità e una espressività nuove e entrambi, psicoterapeuta e paziente, sentono che il lavoro si sta avviando verso la conclusione, il risultato è apprezzabile anche attraverso le immagini inconsce che emergono dai sogni oltre che dalla risoluzione dei sintomi e da un importante vissuto di benessere.
E l’identità riconsegnata alla persona è spontaneamente utilizzata per conoscere, seguire, scoprire, il diverso da noi, raramente l’uguale.
È utile proporre una riflessione forse paradossale su questo tema: usando la logica verrebbe da pensare che se il rapporto con i genitori e in seguito con la società fino all’adolescenza avesse funzionato, l’adulto potrebbe o dovrebbe cercare spontaneamente dei rapporti che fedelmente ricalchino quelli con i genitori e potrebbe essere consequenziale che la ricerca affettiva e relazionale, sociale, lavorativa etc. si sovrapponga pienamente alle immagini prese e ricevute dal rapporto con la famiglia e poi con il contesto.
Al contrario accade invece che più il rapporto con la famiglia ha funzionato maggiore è la ricerca umana sul diverso da sé mentre laddove si va sovrapponendo a modalità relazionali pregresse si parla di identificazione o comunque di un’identità non autonoma.

Identificazione in questo caso è legata al fatto che non vi è la capacità di trovare un’immagine nuova di sé per affrontare il mondo se non utilizzando in parte quelle originarie nella loro forma e nel loro contenuto.
I sogni ci confermano questo apparente paradosso della nostra passione per il diverso: il raggiungimento dell’autonomia e quindi la realizzazione di sé corrisponde a un’immagine interna completamente nuova che si ottiene per trasformazione delle immagini dei rapporti significativi come quelli con i genitori e proprio per questo non li rappresenta ma li contiene.
L’identità corrisponde a un individuo distinto e separato dagli altri e che deve questo proprio ai rapporti affettivamente importanti che hanno funzionato che sono il patrimonio e la risorsa per potersi giocare questa identità nei rapporti adulti potendo investire, rischiare e appassionarsi su quanto è più differente da sé non avendo necessità di trovare un rispecchiamento di certezza.
L’immagine interna della madre non rimane introiettata e bloccata internamente così come anche l’immagine dello psicoterapeuta, seppur valida e di riconoscimento, al termine del lavoro si trasforma e diventa contenuto di identità del paziente/essere umano che ha vissuto quel rapporto importante che fa parte della propria storia ma entra, senza essere visibile, in un’immagine del tutto autentica e nuova di proprietà unica del paziente.

Di solito in psicoterapia mi capita di descrivere questa trasformazione dell’immagine interna all’adolescenza e nel rapporto psicoterapeutico semplicemente dicendo che quando realizziamo un qualche cosa, in un rapporto per esempio, è chiaro che in misura importante è dovuto a quanto si è potuto prendere e pertanto funzionare nei rapporti precedenti, compreso soprattutto quello psicoterapeutico, e allo stesso tempo non lo si dice o pensa ogni volta: se si è raggiunto un obiettivo è nostro come attivazione di identità punto e basta.
Così vale per l’immagine interna: è rappresentazione di sé libera, nuova, non legata a immagini precedenti ma allo stesso tempo contiene le immagini e quindi i rapporti validi che ne hanno determinato la possibilità di realizzazione.
In maniera provocatoria rimando quindi che non è necessario poi dire, raccontare che si è fatto un lavoro psicoterapeutico e non per privacy o segretezza ma perché l’identità della persona contiene anche il lavoro fatto insieme nel setting senza bisogno di rappresentarlo oggettivamente o verbalmente.
La questione dell’identità come realtà facente capo a un’immagine interna libera di fantasia che può esprimersi senza vincoli affettivi pregressi, apre alla riflessione sull’identificazione come dinamica non fisiologica già fatta in precedenza.

Inoltre un’identità autonoma, ripeto, distinta e separata dall’altro, è l’unica possibilità che abbiamo per l’attività affettiva più importante che possiamo mettere in atto che è quella del riconoscimento dell’altro.
Riconoscimento come vera disposizione alla scoperta dell’essere umano diverso da noi e pertanto all’innamoramento perché privo di bisogni personali cui dover rispondere.
Mi capita raramente di fare citazioni perché purtroppo mi è faticoso ricordarle ma in merito alla disposizione libera verso l’altro, riporto delle parole utilizzate da Gabriel Garcia Marquez durante il discorso per l’assegnazione del Nobel nel 1982 in cui, parlando della solitudine dell’America Latina e riferendosi ai Paesi Europei, diceva “…non è difficile capire perché i talenti razionali di questa parte del mondo, estasiati nella contemplazione della propria cultura, si siano ritrovati senza un metodo valido per interpretarci… L’interpretazione della nostra realtà con schemi che non ci appartengono contribuisce soltanto a renderci sempre più sconosciuti, sempre meno liberi, sempre più solitari”. (Marquez, 1982).

È proprio quando abbiamo necessità di schemi interni di interpretazione (l’identificazione) che non riconosciamo la realtà umana dell’altro.
Marquez utilizza il termine razionalità come la parte dell’uomo che fa capo al non riconoscimento dell’altro perché è chiaro che dove esiste l’identificazione, l’unica possibilità di contatto con l’esterno è il giudizio che si basa sulle certezze insindacabili di ciò che conosco non lasciando spazio ad altro.
Il lasciarsi andare viene sostituito con la veglia cosciente che decide e determina in base a parametri concreti, oggettivi, di giudizio e di morale come sostituti della capacità persa di sentire e mettersi veramente in contatto.
E vediamo come tutto questo riguarda il nostro paziente o il singolo sistema di coppia o familiare nel micro, laddove nel macro può assolutamente assumere una forza collettiva e una potenza capaci di condizionare il corso della storia.
L’elemento culturale contemporaneo affrontato non è quindi una finezza del modello psicoterapeutico o di maggiore conoscenza di se stessi e del mondo ma un punto focale del percorso nel suo momento più avanzato che avvicina il paziente al recupero metaforico dell’adolescenza come reale ingresso adulto e maturo nel rapporto con gli esseri umani.

Michele Battuello