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Psicoterapia Combinata Individuale/Gruppo 4

Il lavoro di Gruppo

Durante la Psicoterapia Individuale il paziente riacquisisce autonomia nel senso di un’identità distinta e separata da quella degli altri, che non deve ricorrere a manovre difensive come l’identificazione o la fusione per potersi affermare e stare al mondo.
La ridefinizione di sé è il presupposto fondamentale della nostra natura di stare con gli altri, in una rete complessa di relazioni in cui la specificità umana è che si tratta di rapporti qualitativi più che quantitativi non finalizzati alla risposta istintiva ai bisogni di sopravvivenza e propagazione della specie.
Il rapporto psicoterapeutico a questo punto si fa più evoluto e si inizia a proporre il lavoro di gruppo insieme al pensiero di separazione dall’immagine della psicoterapia individuale.

Il lavoro per un certo periodo è combinato individuale/gruppo proprio perché segue il processo evolutivo dell’essere umano: il passaggio al sociale non è drastico e immediato per il bambino ma si rappresenta tramite una progressiva separazione dal rapporto duale fino all’adolescenza, periodo in cui l’identità del ragazzo si inizia a mettere in gioco in termini adulti.
Il mantenimento per un periodo limitato della psicoterapia individuale quando già il percorso di gruppo è iniziato, ha l’obiettivo di offrire ancora uno spazio intimo e privato per alcune tematiche: il rapporto duale è ancora una certezza ma progressivamente perde la sua centralità a vantaggio del sociale.
Questo è apprezzabile quando la coppia psicoterapeutica si accorge che oramai non sussiste più materiale da esplorare e affrontare fuori dal gruppo ma il rapporto con gli altri assume una rilevanza maggiore in termini onirici e relazionali.

Spesso anche la rappresentazione della relazione psicoterapeutica compare nei sogni come immagine di gruppo, la separazione con l’adulto di riferimento è oramai avvenuta.
Il ritrovamento dell’adolescenza in psicoterapia ha il significato di termine della psicoterapia stessa: gli strumenti elaborati e trasformati durante il percorso permettono alla persona di potersi finalmente e definitivamente muovere in autonomia e si può parlare di guarigione.
I pazienti si confrontano con il loro essere adulti, non dovendo più rappresentare il bambino a cui non sono state date delle risposte affettive adeguate e si possono occupare del qui ed ora, lasciando il là e allora.
Il paziente ha sia affrontato che sperimentato momenti importanti di separazione riproposti nella relazione psicoterapeutica e ne riproduce l’esperienza nel suo quotidiano, incontra finalmente l’altro come forma di ricerca e investimento della propria identità.
Ricordiamoci che l’antropologia e la sociologia ci confermano che siamo animali sociali e non duali anche se il rapporto di coppia è una rappresentazione importante del nostro voler stare insieme agli altri, e per tale motivo sottolineo sempre la distinzione tra autonomia e solitudine.

La prima non comprende la seconda come invece spesso si pensa: autonomo ha il valore di stare in relazione con gli altri senza la necessità di mettere in atto dinamiche legate al bisogno come conseguenza di risposte affettive inadeguate precoci.
Il gruppo nel lavoro di psicoterapia combinata, è un gruppo aperto per età, genere e problematiche, a cadenza settimanale, della durata di 2 ore (1h e 30min nel caso di un gruppo a ora di pranzo) e il numero dei partecipanti è non oltre 10.
Il paziente che entra nel gruppo pertanto si trova a vivere un’esperienza nuova e di messa in discussione poiché incontra un gruppo già avviato, possiamo anche dire affiatato, ma ha costruito già delle basi di conoscenza e trasformazione del lavoro psicologico durante lo spazio individuale, che continua a mantenere per un limitato periodo di tempo.
L’esperienza nel gruppo mi ha portato a maturare nel tempo una modalità di lavoro che maggiormente, rispetto alla psicoterapia individuale, integra l’interpretazione delle dinamiche inconsce con quella delle dinamiche relazionali.

Mi sono reso conto che la trasformazione profonda e il ritrovamento dell’immagine di identità di sé deve essere accompagnata all’osservazione, per un certo periodo di tempo, del paziente sul campo, cioè nella sua vita quotidiana.
La spiegazione risiede in un’inevitabile abitudine, strutturata negli anni e pertanto in precise mappe neurali, a pensare, comportarsi e ad agire in un determinato modo, che cambia gradualmente se lavoriamo soprattutto sul pensiero.
Credo che si possa parlare di coazione a ripetere ma con delle importanti distinzioni: la coazione a ripetere è un meccanismo inconscio per cui si mettono in atto dinamiche ripetitive disfunzionali che rispondo a un determinato meccanismo di difesa.
Viene affrontata ed elaborata con l’interpretazione dei sogni e della relazione finché se ne perdono le tracce durante il processo trasformativo.

L’abitudine, che assomiglia alla coazione a ripetere, ma non è a essa sovrapponibile, è una conseguenza comportamentale dei meccanismi di difesa storici tra cui anche la coazione a ripetere.
La risoluzione delle dinamiche inconsce non è sempre immediatamente associata al cambiamento di alcuni modi di pensarsi, sentirsi e viversi nonostante la sintomatologia e il quadro psicopatologico siano in risoluzione perché parliamo sempre di persone e della vita delle persone stesse che si è dovuta adattare a delle carenze affettive importanti per lunghi periodi, anni se non decenni, pertanto non è consequenziale il potersi pensare e immaginare diversamente anche se le conflittualità interne sono risolte.
Per questo al lavoro di gruppo è associato un consistente tempo dedicato all’affrontare insieme il pensiero su se stessi e sul mondo.
Per alcuni il passaggio a una coerenza tra l’elaborazione delle dinamiche inconsce e il pensiero/vissuto personale è veloce, per altri ha un tempo più allungato, per altri ancora è un processo complesso.

Nei passaggi che sto descrivendo, continuo a evidenziare che si tratta di abitudini coscienti a non pensarsi diversamente, non associate più alla psicopatologia, in cui è evidente che la persona fa fatica unicamente a credere che un cambiamento, anche quando è di fronte ai suoi occhi, perché lo sta mettendo in atto, sia reale e gli appartenga.
In questo mi sono reso conto che, alcune volte, la risoluzione delle dinamiche inconsce non coincide con una percezione realmente diversa del paziente di sé e per affrontare questo, il gruppo è il luogo più indicato perché da un lato c’è il feedback dei partecipanti che vedono, raccontano e descrivono al singolo il cambiamento, e dall’altro c’è la possibilità per i nuovi arrivati di confrontarsi immediatamente con questa fase evoluta del processo psicoterapeutico.

Il lavoro che si concentra sul pensiero del benessere del paziente cui spesso sembra non essere abituato rappresenta, un altro apparente paradosso della psicoterapia: la fase personalmente più complessa nella relazione è proprio questa, quando i pazienti stanno meglio, da qui l’apparente paradosso.
Accade infatti che il processo di elaborazione della psicopatologia, che come ben sappiamo affronta tematiche coscienti e profonde difficili, dolorose, toccando nodi conosciuti, certe volte meno, di forte fragilità della persona, sembra in realtà più affrontabile del non conosciuto, cioè il benessere, il miglioramento e l’evidente trasformazione.
Qui rientra il discorso dell’abitudine perché è come se il paziente non fosse abituato a stare meglio anche se è ciò che cerca ma è effettivamente vero che la memoria del benessere è molto lontana o comunque molto rarefatta o episodica per cui il modello mentale acquisito storicamente si scontra potentemente con gli elementi funzionali e fisiologici restaurati.

La resistenza, se così la vogliamo chiamare, anche se non è più una dinamica profonda quindi per distinzione la chiamerò difficoltà, ad accettare il cambiamento è proprio legata alla paura e allo stupore del non conosciuto e per questo motivo è opportuno pensare insieme questo nel gruppo.
Allo stesso tempo sono convinto per esperienza che non si possa lavorare sul pensiero di sé legato al cambiamento se a monte non sono affrontate e risolte le dinamiche inconsce, vero motore, come già ampiamente ripetuto, della guarigione, del ritrovamento dell’identità e del lavoro psicoterapeutico in toto.
Per questo credo che sia necessario e fisiologico il lavoro di psicoterapia di gruppo perché il senso del singolo entra nel senso del gruppo, cioè in un senso storico dell’umano, inevitabile perché chiunque di noi non è parte solo del suo sistema ma è parte della storia stessa e non può prescindere da questa.

Michele Battuello