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Professioni Sanitarie e Formazione sull’esperienza relazionale


Le Professioni Sanitarie riconosciute in Italia sono numerose e suddivise in ambiti specialistici differenti: dal medico al biologo, dallo psicologo al chimico, dalle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, della riabilitazione e della prevenzione.

La maggioranza di queste è rappresentata dal rapporto con la persona che dovrebbe essere il punto di partenza per qualsiasi obiettivo specifico di cura, aiuto o comunque intervento.

Il paradosso è che nei vari percorsi di Formazione non è previsto, o lo è in rari casi, un lavoro vero ed efficace sulla relazione.

I fondamenti della capacità relazionale sono al massimo raccontati e spiegati in moduli teorici o con qualche esempio pratico o esperienza di role play con generici rimandi a concetti astratti di empatia, modalità comunicative verbali e non, importanza dell’ascolto, del lavoro di equipe fino all’elenco dei sintomi da burn out.

È difficile comprendere come l’effetto del rapporto sul professionista e sul paziente non sia un ambito affrontato con rilevanza nei percorsi di Formazione.

Il Centro di Psicoterapia di Roma ha sempre pensato che la qualità della relazione sia dirimente e che questa faccia parte del processo di crescita della persona/professionista e deve partire dal conoscere, vivere e trasformare le proprie difficoltà relazionali per essere efficace nella cura.

Parliamo sempre di persone e non di laureati che si confronteranno con il dolore fisico e mentale, con la paura e la rabbia della malattia e spesso della morte.

La trascuratezza istituzionale che poi diventa implicitamente dello studente come forma mentis, è che non sia poi così necessario lavorare in profondità sulla persona/futuro professionista come se il semplice conoscere cognitivo sia sostitutivo di capacità di vivere quell’esperienza o che la pratica clinica sia essa stessa formativa della relazione con il paziente.

Così invece si rinforza la storica dicotomia fondata su fantasticherie degli studenti che si acquisisca negli anni un progressivo ed efficace distacco dal coinvolgimento emotivo con il paziente o al contrario si entri troppo in contatto in modo tale da portarsi dietro nella vita privata le difficoltà o il dolore degli assistiti.

I poli opposti che si presentano sarebbero quindi di evitamento o di dipendenza mentre il lavoro di Formazione dovrebbe essere proprio sul risolvere da principio le eventuali e spesso inevitabili strutture di personalità così orientate.

Dico inevitabili non perché credo che ogni studente manifesti dei tratti importanti su uno o l’altro versante di eccessivo attaccamento o di tendenza alla fuga emotiva ma perché la potenza della relazione con il paziente facilmente attivi una di queste reazioni o talvolta entrambe.

È necessario pensare concretamente su quanta preparazione relazionale è necessaria per tutte le figure sanitarie perché ogni professionista nel suo specifico rapporto con un paziente crea un micro setting estremamente potente.

Il fisioterapista che tramite uno sblocco muscolare, per esempio diaframmatico, apre al respiro profondo del paziente che in quel momento si libera del dolore, della fatica fisica dell’aver compresso e si porta fuori con sé reazioni emotive importanti che contengono anche dolori passati e trattenuti, deve non solo conoscere e saper gestire tali eventi ma avere un’esperienza vera su se stesso prima, formativa per l’appunto.

Così vale per il medico, lo psicologo, il dietista e tutte le altre figure che con la loro tecnica, impattano sempre e inevitabilmente con contenuti importanti della persona presenti e/o passati e non possono pensare che lo studio e l’esperienza clinica siano sufficienti a stare in quella situazione.

Le conseguenze sono sulla qualità della cura con due manifestazioni principali: la reazione diretta al paziente e l’effetto indiretto sul professionista.

Il paziente è la persona in difficoltà e attiva spesso delle risposte complesse da difese forti rispetto al dolore che rappresenta con negazione, rabbia, ostilità a bisogno di comprensione e forte attaccamento solo per citarne alcune tra le tante.

Il professionista sanitario si trova a mantenere la relazione all’interno di queste reazioni per il proseguimento della cura ma anche a viverne l’effetto sulla propria sfera emotiva andando a incidere sulla qualità di vita del professionista stesso.

Acquisire la consapevolezza della necessità di un lavoro importante su sé per operare una vera e completa attività specifica di cura del paziente è un traguardo importante della Formazione che pertanto si deve occupare della salute mentale del futuro professionista.

In questo modo si raggiungono due obiettivi fondamentali: il primo è il superamento progressivo del giudizio/pregiudizio sul termine salute mentale che non ha niente a che fare con la paura di parlare di malattia se non di follia cui è culturalmente associata da sempre.

Avere a cura la salute mentale dello studente è proprio l’anello mancante del processo formativo degli ultimi decenni: consiste nel dedicare uno spazio esperienziale di sufficiente durata in cui la persona è al centro del lavoro.

Il futuro professionista ha un contesto che lo prende in carica sul profilo emotivo e relazionale e affronta se stesso elaborando le proprie dinamiche personali in sospeso dal passato e attualmente in corso e maturando la capacità emotiva di entrare in contatto con le future reazioni dei pazienti non dovendo necessariamente attivare dei meccanismi di difesa.

Questo significa superare la dicotomia fuga/dipendenza poiché l’obiettivo relazionale è sintetizzato nel potersi separare dalla risonanza dei vissuti dei pazienti con i propri personali e darsi alla relazione con gli obiettivi specifici che il processo di cura prevede oltrepassando il grave limite dell’osservare l’oggetto/paziente invece della persona/paziente.

Il secondo vantaggio di una Formazione così pensata è di valorizzare la professionalità di ogni specifica figura ridotta, in molti casi, a un mero tecnico esecutore di una procedura che obbliga sempre di più a operare una vera scissione relazionale perché l’operatore si focalizza unicamente o principalmente su una parte del paziente, quella da curare, sottraendosi al totale dell’individuo.

Parte centrale di qualsiasi cura anche iper-specifica e settoriale è proprio quando il paziente si sente accolto come persona come raccontano infinite testimonianze e sempre più numerose lamentele e insoddisfazioni del non sentirsi visti.

Anche il sanitario che ha una buona capacità empatica e relazionale deve aver comunque fatto un lavoro su se stesso nel percorso formativo perché quello che riesce a dare ma senza una capacità elaborativa maturata in precedenza, si contrappone a un portarsi dietro vissuti ed emozioni nel proprio privato con possibili conseguenze a livello emotivo.

Non credo che questo abbia a che fare con il pensare ogni professionista problematico a priori, anzi, ma con il fatto che è l’importanza della relazione di cura che richiede a tutti di lavorare necessariamente prima sull’identità personale per poi acquisire come conseguenza quella professionale.

Come è obbligatorio, perché fondamentale, il tirocinio, altrettanto deve diventare spontaneo quel pensiero sull’essere umano appunto che contenga il diritto, il dovere e la necessità di conoscere e comprendere la complessità della relazione tra persone e ancora di più con la persona/paziente.

Il Centro di Psicoterapia di Roma pensa questo ambito della Formazione strutturato in un lavoro di Gruppo in cui si integrino l’aspetto di condivisione emotiva, alla base del poter ricevere ed esprimere contenuti a forte impatto, ma soprattutto di analisi e trasformazione delle dinamiche individuali che possano limitare o impattare con l’obiettivo della cura perché inficianti la relazione con il paziente.

Lo studente trova uno spazio in cui è sollecitato a una continua messa in discussione per esplorare il più possibile gli ambiti, i temi, le reazioni causa di eventuali difficoltà.

Lo studente trova anche un tempo per elaborare che si distacca dalla velocità e immediatezza delle richieste contemporanee: il tutto e subito, la risposta impellente, l’efficacia immediata sono sostituite invece da un’esperienza che fa del tempo una delle qualità fondamentali dell’esistenza e della professionalità.

L’occhio che vede l’altro, lo intuisce e gli offre una risposta non può essere sempre fugace ma ha il bisogno dello stare, del sapersi di nuovo soffermare sul significato non solo specifico della relazione di cura ma anche e soprattutto sociale e culturale per ostacolare la dispersione emotiva che affrontiamo negli ultimi anni.

La velocità che stiamo acquisendo non risponde con efficacia alle esigenze dell’essere umano contemporaneo perché ci espone a una superficialità di ascolto e introspezione che fanno perdere il contenuto della relazione e impoveriscono la qualità dei rapporti e nello specifico la professionalità.

Il messaggio del tutto e subito è allettante e seduttivo, è comprensibile ma purtroppo riduce ognuno di noi a mero operatore del settore, non solo sanitario ma in generale dell’incontro tra esseri umani.

La Formazione è chiamata a questo tipo di cambiamento: occuparsi della capacità relazionale dello studente, dando tempo e spazio alla sua salute mentale nei termini descritti per rendere la qualità delle cure offerte migliore e pertanto valorizzare la professionalità del futuro operatore sanitario.

 

Michele Battuello