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Presenza dello psicoterapeuta e assenza del paziente

La Psicoterapia si basa sulla relazione che parte da un indiscutibile dato di realtà che è la presenza di due o più persone nel caso si tratti di Psicoterapia individuale o di gruppo.

Il presupposto della presenza fisica di psicoterapeuta e paziente/i si integra con la qualità relazionale, argomento declinato da tutti i modelli e orientamenti teorici, dalle innumerevoli esperienze cliniche e dalle singole e specifiche identità dei professionisti che vivono, propongono e attivano la relazione in base alla forma personale del vivere la Psicoterapia.

Tali contenuti soggettivi dello psicoterapeuta si incontrano e integrano a loro volta con il modo di rapportarsi di ogni singolo paziente, dando vita a una rete di possibilità peculiari e numerose così come sono diverse tra loro tutte le relazioni umane.

Sappiamo anche che l’assenza del paziente alla seduta prestabilita è argomento di riflessione, restituzione e interpretazione in molti casi teorizzata a priori e verbalizzata al paziente stesso come un qualcosa che non va e, in linea di massima, come rappresentazione di resistenze, difese, fughe rispetto alla relazione.

Mi sono già soffermato su questi aspetti legati al setting e pertanto non pensabili  solo in forma unidirezionale di osservazione/critica dei movimenti del paziente (https://www.mbpsicoterapia.it/per-un-linguaggio-comune-della-psicoterapia-il-setting-primario/ ) ma da riferire sempre al qui e ora della relazione psicoterapeutica, permettendosi solo in seguito a una reale intuizione, comprensione e osservazione delle dinamiche intercorse, l’interpretazione del significato dell’assenza, invece di proporre subito un pensiero a priori su questa.

L’atto psicoterapeutico di eventuale lavoro sulla/e seduta/e mancata/e è sempre successivo alla comprensione della relazione quindi avviene dopo i fatti, a mia esperienza con l’emergere di sogni che raccontano l’assenza come dinamica inconscia di negazione, annullamento che pertanto può aver avuto una sua rappresentazione cosciente con il non esserci al tempo prestabilito della seduta.

Ritengo che sia utile descrivere come lo psicoterapeuta possa affrontare l’incontro saltato partendo dal solito, necessario e inequivocabile dato di realtà, nello specifico rappresentato dalla questione se deve essere presente o meno nello studio anche se ha avuto comunicazione dal paziente che non potrà esserci a quel giorno e a quell’ora.

La riflessione mi è stata indirettamente suggerita da un interessante articolo scritto dal collega Basilio Bonfiglio dal titolo “Alla scoperta di sé stessi e del mondo”, in cui, raccontando dell’inizio del lavoro psicoterapeutico con un paziente, si accordava con questo proponendo “…l’impegno dell’analista di una sua presenza nello studio analitico anche in caso di eventuali assenze del paziente.” (Rivista di Psicoanalisi, 2020, LXVI, 2; pag. 324. Il corsivo è di Bonfiglio).

È un aspetto del setting che condivido pienamente poiché credo e sento come una delle qualità della relazione realizzata come un fatto concreto ma piena di valenza affettiva.

Le motivazioni, parlerei meglio di significati, che mi portano a esserci anche quando la seduta è saltata per ragioni portate dal paziente sono sintetizzabili nel non voler rendere inesistente il nostro incontro e pertanto un segmento del processo psicoterapeutico.

Il non esserci che il paziente ha vissuto nelle relazioni, soprattutto quelle primarie, familiari, originarie, rappresentato dal non essere visto e dal non sentirsi riconosciuto con vissuti di angoscia, rifiuto, solitudine, vuoto e molti altri si rimargina progressivamente con il lavoro psicoterapeutico che offre anche una relazione che propone un esserci comunque, pertanto fisicamente quando la seduta è saltata.

Questa presenza, insieme a tutte le altre qualità relazionali, diventerà, con la maturazione del processo psicoterapeutico, possibilità di affrontare il mondo e le relazioni nel loro non esserci, non come perdita, rifiuto, ferita insanabile e ricerca del congiungimento a tutti i costi, ma come identità umana di crescita e cambiamento per dinamica di separazione e non di annullamento e morte.

Laddove le due proposizioni annuali, estiva e invernale, di interruzione delle sedute, che cimentano il paziente con una dinamica di separazione che fisicamente propone il non esserci del rapporto, tutti gli incontri settimanali invece hanno la garanzia della presenza dello psicoterapeuta e pertanto del rapporto stesso.

La validità dell’esserci è trasversale per tutte le situazioni cliniche: per la persona che effettivamente salta la seduta per un dato di realtà (impegno, malattia, impossibilità a recarsi allo studio, ferie etc.), c’è la certezza che il setting è stato mantenuto vivo dallo psicoterapeuta; per i casi in cui si capirà in seguito che l’assenza ha manifestato una dinamica di rifiuto o annullamento della relazione, l’esserci stato a priori dello psicoterapeuta è ulteriore materiale di frustrazione e di rifiuto di tale dinamica aggressiva o anaffettiva.

Il processo è sempre quello di riconoscimento di identità dell’alleanza psicoterapeutica che in questo caso si lega al tenere la qualità fisica dell’incontro, l’esserci comunque, per permettere la progressiva trasformazione dell’esserci fisico in esserci psichico/affettivo: se il paziente si può separare non vivendo o attivando più dinamiche di rifiuto, abbandono e aggressività nella relazione, ritrova un’identità di sé che gli permette di essere distinto e separato dagli altri, in una parola autonomo, proprio facendo del rapporto con gli altri una sua immagine interna, invece di rifiutarli.

Ricordo che identità autonoma non ha un equivalente vissuto di isolamento o indipendenza assoluta dagli altri, anzi, rappresenta il potersi vivere la propria realtà umana appieno, intrisa di relazioni ma senza il rischio di dover attivare dinamiche di introiezione, identificazione, quindi bisogno e dipendenza, dell’altro per vivere.

Un’altra ragione per cui mi rendo presente il giorno e l’ora in cui una seduta è cancellata dal paziente è anche di concedere la libertà al rapporto di poter eventualmente esserci se magari quell’impegno non c’è più o se magari il paziente trova il modo di recarsi allo studio o anche se in caso riesce ad arrivare solo per pochi minuti.

Come al solito si valuterà insieme e a posteriori gli eventuali significati o movimenti messi in atto ma a priori preferisco che la persona sappia che quel suo spazio e tempo esiste, c’è, è suo, anche se all’ultimo minuto o per poco tempo per dare vitalità e risposta alle risorse che possono essere attivate che, magari, si stanno contrapponendo al senso di morte della negazione, dell’annullamento, del rifiuto o della fuga.

Nella mia esperienza professionale, mentre chiarisco, al momento di concordare le caratteristiche del setting, i periodi di chiusura dello studio, così come il non pagamento delle eventuali sedute saltate e altro, non ho mai sentito la necessità né tantomeno l’utilità di verbalizzare questo aspetto del mio approccio al non esserci del paziente.

Credo che faccia parte di quelle consapevolezze inconsce che sono verbalmente silenti ma affettivamente comunicate ad alta voce, implicite in quella specifica qualità relazionale cui diamo il nome di alleanza terapeutica.

È altresì vero che come risposta a un rapporto che ha raggiunto ormai una sua maturità, in cui il paziente è in grado di vivere e attivare dinamiche di separazione evolute, ritengo che posso concedermi di considerare quell’ora libera perché la seduta è saltata, mia, che utilizzo inconsciamente al contrario come riconoscimento di funzionamento e di autonomia nei confronti del rapporto psicoterapeutico.

Il paziente, di solito verso la fine del processo di lavoro, può oramai pensare la seduta saltata come un momento ancora importante ma che non ha più la necessità di essere sostenuto dalla presenza fisica e dal significato affettivo dello psicoterapeuta poiché le dinamiche di separazione dal rapporto hanno riacquisito un contenuto fisiologico pertanto di possibilità di svezzamento sempre più definitivo, dalla Psicoterapia stessa.

 

Michele Battuello