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Lockdown e primi effetti nel lavoro Psicoterapeutico.

Le osservazioni che racconto non riguardano Psicoterapie iniziate durante l’epidemia da Covid-19, ma descrivono a posteriori come, pazienti già all’interno di un processo evolutivo, hanno e stanno affrontando, in termini relazionali e onirici, il periodo complesso di questi mesi.
Ho descritto in altre pagine, https://www.mbpsicoterapia.it/il-sogno-e-la-sua-interpretazione-nelle-emergenze/ , la rilevanza dell’utilizzo dei sogni e della loro interpretazione durante l’emergenza, sia per l’impatto diretto dell’epidemia sulla salute, sia per le conseguenze delle restrizioni alle abitudini di vita dell’intera popolazione, principalmente rappresentate dall’isolamento domiciliare protratto.
Mi sono anche sentito di precisare la possibilità di inefficacia dell’alleanza psicoterapeutica e pertanto di svantaggi sulla salute delle persone, se il sogno fosse usato, letto o addirittura interpretato senza averne precisa esperienza e consapevolezza, per i colleghi che si ritrovano a rispondere a tante richieste di aiuto, soprattutto a distanza, per il distress psicologico correlato ai numerosi effetti diretti e indiretti del Coronavirus, https://www.mbpsicoterapia.it/il-sogno-e-il-suo-utilizzo-nellemergenza/.

Dopo più di 40 giorni di esperienza psicoterapeutica concomitante all’epidemia, mi sento di portare le prime osservazioni che narrano un filo comune del processo di elaborazione e di confronto con l’emergenza da parte dei pazienti.
La Psicoterapia è stata mantenuta a cadenza settimanale e le sedute sono state effettuate via piattaforma digitale o di persona a seconda della specificità e delle necessità di ogni singolo caso, https://www.mbpsicoterapia.it/organizzazione-della-psicoterapia-ai-tempi-del-coronavirus/.
Un limitato numero di pazienti ha comunicato la preferenza di voler attendere la fine del lockdown per proseguire il lavoro.
Ho notato due caratteristiche comuni che ritengo rilevanti.
La prima è che l’isolamento ha rappresentato una situazione di equilibrio e stabilizzazione di un senso di Sé.

Nonostante problematiche sia organizzative, figli a casa, convivenza stretta per intere giornate, smart working intenso, impossibilità di vedere di persona i propri cari, che emotive, il rischio di infezione, notizie di persone vicine ammalate, incertezza per il futuro e molto altro, l’esperienza ha attivato una ricerca di omeostasi che in molte situazioni è stata riferita come positiva.
I pazienti con cui ho lavorato in questo periodo si trovano in una fase avviata e per alcuni avanzata del processo, nel senso che il rapporto è iniziato non meno di 6 mesi prima di febbraio 2020 ed effettivamente l’isolamento ha rappresentato una possibilità concreta, proprio perché non scelta ma obbligata, di confrontarsi con le capacità e risorse riacquisite in Psicoterapia, in sintesi con il senso di identità raggiunto.
L’elemento più interessante è stato che una delle paure più correlate all’inizio della quarantena, lo stare da soli, è stata utilizzata in maniera introspettiva poiché non ha mosso angosce pregresse ma anzi, come ogni separazione efficace, ha innescato la ricerca di momenti, spazi, attività non con l’obiettivo della fuga o della distrazione ma della ricerca su Sé.

Non sono mancati vissuti poco piacevoli del periodo ma anche in questo caso i pazienti stessi hanno riferito un malessere contingente alle situazioni ma non ingestibile e soprattutto non legato a dinamiche altre indipendenti dai fatti: tali vissuti sono presenti anche nei sogni come descriverò più avanti.
Ad attendibile conferma delle suddette riflessioni compare negli ultimi giorni, con l’avvicinarsi della parziale e progressiva fine del lockdown, un generale vissuto malinconico spesso immotivato sul piano della consapevolezza, probabilmente legato all’inevitabile separazione dallo stato di equilibrio.
L’attesa e la voglia di uscire di nuovo, di riprendere attività e rientrare in una quotidianità così ambita, si incontra con un dispiacere inaspettato, in direzione opposta al desiderio di riapertura.

Si avrà il tempo per esplorare e capire meglio a cosa può essere associato tale stato d’animo ma credo possa risalire al dover mettere in crisi lo stato attuale, conosciuto e, per certi aspetti, confortevole, per passare a una fase che da una parte rappresenta la rottura dell’equilibrio e dall’altra il confronto con un qualcosa che non può essere uguale a prima, pertanto l’incertezza, frequente fonte di paura per il paziente in Psicoterapia.
Sarà importante distinguere una malinconia fisiologica di separazione da un determinato periodo e il passaggio a un altro, da una vera e propria difficoltà a cimentarsi con il nuovo, così poco omeostatico e soprattutto ancora non delineabile all’orizzonte.
Per un certo periodo ho creduto che i pazienti che invece si erano sospesi dal lavoro psicoterapeutico fossero quelli che potevano utilizzare l’obbligo di isolamento come una difesa dal mondo esterno, proteggendosi dal rapporto, con me in primis, in fasi del processo psicoterapeutico che definirei intermedie e di conflitto tra il passaggio dal rimanere ancorati a dinamiche precedenti a un’iniziale autonomia, ma ho velocemente cambiato questa mia posizione perché attendo prima di rivedere le persone e poi valutare insieme se effettivamente è subentrata questa difficoltà.

L’evento esterno che non offre possibilità di confronto per nessuno, psicoterapeuti e pazienti, con precedenti esperienze analoghe, ci deve a maggior ragione indurre a un’osservazione attenta e curiosa delle conseguenze per il lavoro psicoterapeutico laddove, se come professionisti rimaniamo agganciati a quello che abbiamo acquisito con la pratica clinica negli anni, rischiamo di perdere dei contenuti relazionali nuovi, vista l’unicità della situazione che, come per la ricerca stessa sul Coronavirus, non vanno pensati e interpretati a priori ma vissuti settimana dopo settimana.
Per questo motivo l’unica possibilità è aspettare.
Ritornando ai pazienti che invece hanno proseguito il lavoro, si potrebbe pensare che la nicchia di tranquillità ritrovata nei propri spazi seppur scomodi e molto circoscritti possa rappresentare comunque una protezione difensiva nel momento in cui, nella maggior parte dei casi, i pazienti hanno vissuto il mondo esterno potenzialmente pericoloso come conseguenza di rapporti originari di non adeguato riconoscimento affettivo e pertanto di difficoltà di separazione dai primi anni di vita.
Dovendo comunque proseguire un percorso obbligato di crescita e di maturazione sappiamo che è stato necessario attivare dei meccanismi di difesa che hanno permesso di procedere in avanti nello sviluppo ma con dei compromessi a discapito di un senso di identità distinto e separato dal resto del mondo e le conseguenze a esso relative.

Questo ragionevole dubbio è stato, come per la gran parte del lavoro psicoterapeutico, dissipato dal contenuto dei sogni dei pazienti che ha descritto effettivamente il significato di questo equilibrio.
Il secondo aspetto comune che ho riscontrato nei precedenti 40 giorni è stato l’utilizzo metaforico dell’infezione nei sogni.
Come spesso succede, i fatti esterni, per il loro impatto effettivo o simbolico sul nostro sistema di elaborazione, sono utilizzati come immagini oniriche pertanto sono emersi sogni che facevano riferimento agli aspetti correlati all’epidemia.
Il Covid-19 e le sue sfaccettature sanitarie, sociali, lavorative hanno assunto la figura del rapporto che letteralmente infetta e uccide.
I pazienti hanno utilizzato il dato sanitario del virus per raccontare dei propri vissuti storici di non riconoscimento da parte del mondo esterno (principalmente i genitori) e pertanto del rischio che il mettersi in gioco, il lasciarsi andare, l’amore verso gli esseri umani ha determinato nel tempo e di tutti i meccanismi di difesa attivati per poter comunque stare al e nel mondo al prezzo di compromessi emotivi, relazionali ed esistenziali rilevanti.

Il compromesso è stato spesso l’utilizzo della relazione come risposta a un bisogno e non come vera possibilità di desiderio visto il rischio che ha comportato nelle esperienze originarie e pertanto un senso continuo di Sé parziale, insoddisfatto, a rischio.
Questa paura storica dei pazienti è stata sempre affrontata nei sogni degli scorsi 40 giorni come un qualcosa con cui si confrontavano e che in qualche modo riuscivano a fronteggiare, ognuno con le proprie modalità e con risultati di diversa efficacia a conferma delle effettive risorse ritrovate e attivate nel percorso psicoterapeutico.
Proprio perché si tratta di persone che hanno iniziato il lavoro da diversi mesi, la qualità relazionale che ho descritto come primo aspetto e parimenti il contenuto onirico ha dimostrato coerenza di contenuto che spesso non è apprezzabile nei primi tempi della Psicoterapia in cui generalmente i sogni esprimono e affrontano il passato prima di riallinearsi al qui ed ora della relazione.

Queste sommarie rilevazioni confermano l’importanza dell’uso del sogno e soprattutto l’esperienza interpretativa dello Psicoterapeuta: l’evento di forte impatto emotivo, di stravolgimento della quotidianità, del modo di vivere, di pensare, di relazionarsi, non per forza assume i caratteri del trauma o di qualcosa che sconvolge l’identità della persona.
Al contrario, caratteristica specifica dell’essere umano, quando un’identità di base, https://www.mbpsicoterapia.it/il-potenziale-umano-introduzione/, si è storicamente potuta formare o si è ritrovata in Psicoterapia, gli eventi permettono alle persone di utilizzare risorse anche inimmaginabili per far fronte alle difficoltà per la presenza di un Sé attivo e reattivo, mentre in altri casi, i fatti incontrano un’identità fragile che rischia di soccombere o doversi adattare in maniera difensiva.

Il sogno è pertanto strumento centrale del lavoro psicoterapeutico centrato sulla restituzione al paziente di un senso di identità distinto e separato dal mondo esterno pertanto autonomo e in grado di concedersi la relazione in maniera libera, spontanea e il suo utilizzo nell’emergenza deve sempre tenere conto degli aspetti storici, relazionali, onirici del paziente altrimenti rischia di essere fuorviante e la sua interpretazione o rilettura di non utilità.

Michele Battuello