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L’identificazione come dinamica difensiva inconscia.

 

Prima Parte

  • Introduzione
  • Cenni di Psicologia Evolutiva 

1.1. Introduzione.

Le speculazioni sull’identificazione in campo psicoanalitico e psicodinamico sono storicamente innumerevoli e traggono spesso spunto, e pertanto si ritengono di notevole rilevanza, dalla pratica clinica, altre volte sembrano il risultato di teorizzazioni assimilabili a un pensiero filosofico e, seppur interessanti, meno utili per il lavoro psicoterapeutico.

Il problema di cui si sono occupati molti illustri psicoanalisti negli anni riguardo all’identificazione, raggruppa un’assoluta maggioranza di posizioni rivolte a considerare questa un processo fisiologico per lo sviluppo psicofisico del bambino in particolare come dinamica di base per la costruzione dell’identità.

L’assimilazione in vari ambiti, relazionali, comportamentali e affettivi, di aspetti dell’adulto di riferimento e dell’ambiente circostante come modello interno adottato dal bambino per iniziare e proseguire il suo sviluppo, non corrisponde a un equivalente evolutivo sano.

La certezza di tale affermazione è data dalla comprensione dell’elemento inconscio per eccellenza, il sogno.

L’inconscio nella sua totalità non è rappresentato solo dai sogni ma anche dalle caratteristiche dell’individuo nel suo essere in relazione con l’altro che emergono, per antonomasia, all’interno della seduta psicoterapeutica, ma per ricercare nel paziente gli aspetti della sua evoluzione che non sono andati secondo fisiologia, per comprendere e risolvere le dinamiche messe in atto, non abbiamo altri elementi di certezza che non siano quelli onirici.

Nell’esperienza clinica, non si rintracciano sogni contenenti identificazioni che facciano riferimento a periodi molto precoci della vita del bambino, parliamo dei primi mesi e anni di vita, che non siano contestualizzati in una matrice disfunzionale o francamente patologica.

Nel momento in cui accade un qualcosa nel rapporto con il genitore, in particolar modo con la madre, che non corrisponde pienamente alle esigenze affettive e relazionali adeguate allo sviluppo fisiologico del figlio, il bambino inizia a costruire e attivare delle dinamiche compensatorie o alternative per proseguire comunque il processo evolutivo. In questo modo è obbligato a sacrificare e allontanare da sé in parte o del tutto la sua componente affettiva spontanea e predisposta fin dalla nascita che abbiamo chiamato Potenziale Umano perché vissuta come pericolosa o spiacevole a causa del riscontro deludente ricevuto dall’adulto significativo.

Allo stesso tempo, a causa dell’importanza rivestita dalla relazione per la stessa esistenza dell’essere umano, in particolar modo nelle fasi precoci di sviluppo, il compromesso trovato per mantenere il rapporto, anche se deludente, è rappresentato dall’instaurarsi di dinamiche come l’identificazione che non risponde alla piena espressione della fisiologia.

In alcuni casi, come sarà descritto in seguito, può accadere che l’identificazione con uno dei genitori assuma una forma interna totalmente idealizzata perché serve da consolazione e da vera e propria ancora di salvataggio psichico per la totale inadeguatezza affettiva e relazionale dell’altro genitore. Abbiamo chiamato questa identificazione “strutturante” e nella maggior parte dei casi è costruita sulla figura del padre nei casi di una madre gravemente assente o respingente nel rapporto.

Il processo che è all’origine dell’identificazione è l’introiezione che fa riferimento anch’essa a una dinamica non fisiologica di mettere dentro l’altro: il vissuto legato al racconto di sogni in cui sono evidenziate queste modalità nella struttura interna del paziente è sempre di qualcosa di artificioso, quasi meccanico. Per tale motivo sarebbe più opportuno chiamarle meccanismi più che dinamiche anche se per semplicità etimologica nel testo non sarà sempre utilizzato questo termine.

Il lavoro parte da semplici presupposti sullo sviluppo psichico del bambino che sono il frutto della comprensione di punti comuni nei sogni dei pazienti che fanno riferimento a una matrice originaria comune, la fisiologia appunto e che pertanto si è potuta descrivere con tanta certezza.

 

1.2. Cenni di psicologia evolutiva.

I sogni che si riferiscono a periodi precoci dello sviluppo mostrano una rappresentazione del sé valido e funzionale come componente affettiva espressa in immagini in cui i protagonisti possono essere bambini, cuccioli di animali, oggetti appartenenti al passato del paziente stesso, così come gioielli o pietre preziose, fino a luoghi specifici che all’interno hanno qualcosa che li arricchisce, solo per fare alcuni esempi tra i più comuni.

Queste immagini possono essere associate a storie di perdita, rovina, distruzione dell’elemento affettivo e quando sono così sognate, si manifesta sempre la fonte di tale perdita che in forma diretta o meno è rappresentata da lacune relazionali operate dall’adulto di riferimento. In tali sogni compare chiaramente la dinamica disfunzionale e patologica come l’identificazione.

Due caratteristiche specifiche e comuni nei sogni dei pazienti permettono la comprensione e pertanto l’interpretazione di immagini che hanno sicuro riferimento ad un passato molto antico e precoce nella storia evolutiva del bambino e che appartengono in linea di massima a periodi che il ricordo cosciente non può recuperare.

La prima, come già accennato, è l’uso di immagini reali o metaforiche strettamente inerenti quel periodo: bambini, cuccioli oppure oggetti appartenenti alla storia del bambino, ma di particolare rilevanza è il ricorrere a elementi tipicamente preverbali come suoni, musiche e melodie inserite nel contesto narrativo del sogno.

Sappiamo che il mondo primitivo del bambino è tutto organizzato sui sensi e sulle percezioni derivanti da essi e proprio perché non esiste il ricordo cosciente di un tempo così antico, quello che rimane come traccia dei vissuti sensopercettivi del bambino è ritrovabile soltanto nella memoria inconscia che il sogno permette di recuperare.

La qualità del vissuto associato alle stimolazioni visive, uditive, olfattive, gustative e tattili di un momento relazionale, rimane come un’esperienza emotiva nella psiche del bambino e come tale potrà essere piacevole o meno in virtù di com’è stata trasmessa e quindi gestita dall’ambiente circostante, dal rapporto interumano in primis.

Non potendo pensare e capire in senso logico-formale, riferendosi a una voce che lo chiama, o a un volto che gli sorride, alle braccia che lo sostengono in aria, il bambino si ritrova a vivere un’esperienza grazie alle percezioni che ha dell’esperienza stessa e ad archiviarla nel suo bagaglio affettivo.

I momenti a contenuto molto emotivo della sua storia dei primi anni di vita lasceranno tracce nella sua memoria inconscia che da una parte andranno a costituire episodio per episodio, il senso del tempo interno che è la base della coscienza di sé in continua evoluzione e dall’altro conterranno tutti gli elementi relazionali affettivi validi o meno che determineranno tasselli fondamentali per l’integrità psicofisica dell’adulto di poi.

Tali elementi inconsci emergeranno inevitabilmente nelle relazioni e nei sogni e come tali saranno individuabili in psicoterapia.

Si considera meno rilevante la relazione rispetto al sogno soltanto nell’ambito della ricerca di elementi precoci nello sviluppo del bambino: nel momento in cui l’adulto/paziente si rapporta al mondo e/o al terapeuta, presenta già una compagine di strutture difensive e meccanismi dinamici patologici agiti e vissuti nel corso del processo evolutivo che non possono esprimere in maniera organizzata e puntiforme l’andamento degli affetti primordiali nella loro complessità e totalità.

Il sogno, in grado di recuperare le tracce dei vissuti nella memoria inconscia, permette una lettura più chiara della storia dinamica del bambino.

Si è accennato alle frequenti immagini che l’adulto utilizza nei sogni per rappresentare i vissuti degli affetti che hanno lasciato un segno nella costituzione del suo sé e registrati per l’appunto nel vasto apparato della memoria inconscia, ma è importante non tralasciare la forma stessa dei sogni che si riferiscono a un tempo così lontano nella storia dell’individuo.

La premessa è che il terapeuta vede e pertanto comprende l’immagine del paziente quando la coppia terapeutica è affettivamente predisposta a lasciarsi andare nel rapporto e pertanto quanto più possibilmente è in grado di allontanarsi dagli aspetti razionali e concreti che si possono attivare durante il racconto del sogno.

In questo modo il sogno può essere colto nella sua immediatezza e pertanto genererà nel terapeuta un’immagine prima di un pensiero che corrisponderà all’intuizione più vicina al contenuto della comunicazione onirica del paziente.

I pazienti, secondo la gravità della psicopatologia o del momento psicoterapeutico, possono essere molto razionali e difesi nella relazione e pertanto resistere alla proposizione inconscia del terapeuta sintetizzata nel lasciarsi andare alla seduta, ma durante la narrazione del sogno cambia comunque qualcosa.

Nella mia esperienza clinica per esempio ho osservato, senza nessuna eccezione, che se il paziente ha annotato un sogno per non dimenticarlo e al momento di raccontarlo in psicoterapia lo legge senza averne memoria, mi è impossibile fare un’immagine del sogno stesso e in questi casi, quando si associa la rilettura dell’annotazione in assenza di alcun ricordo delle immagini, rinuncio a interpretarlo. L’osservazione implica numerose considerazioni sulla struttura e l’importanza del setting ma per l’economia di questo elaborato mi soffermo sul pensiero che, nel momento della narrazione di un sogno, anche il paziente più razionale attiva una forma di allentamento delle resistenze e delle difese trovando un tempo involontario di sintonia affettiva con il terapeuta.

È importante notare che il senso dell’intuizione diretta, non sottoposta al pensiero razionale e logico formale del terapeuta, trova una piena corrispondenza con tutte le ricerche neuro scientifiche degli ultimi anni che hanno dimostrato la presenza di un’attività del bambino fin dalla nascita di entrare in relazione con l’altro. Non vi è la necessità per il rapporto diretto, come si pensava in passato, di passare per fasi di comunicazione più evoluta e pertanto più avanti nel periodo dello sviluppo che teorizzavano quindi un bambino passivo e inerme per un certo periodo di tempo dalla nascita.

Il terapeuta pertanto nel lavoro terapeutico soprattutto nell’ascolto del sogno, deve lasciarsi andare il più possibile alla sua forma più antica e libera di attivazione del Potenziale Umano espresso al massimo nei primi mesi di vita.

Il ritrovare questa spontanea disponibilità alla relazione nel rapporto psicoterapeutico rappresenta un elemento sostanziale per il trattamento e la guarigione del paziente proprio perché il terapeuta non va a rappresentare un’identificazione, come descriveremo meglio in seguito, bensì la controparte di rapporto valido che il bambino non ha potuto avere o ha vissuto solo in modo parziale con l’adulto di riferimento.

Il terapeuta diventa il genitore buono perché è in grado di rispondere al paziente mettendo in gioco il suo lasciarsi andare alla relazione con la libertà e spontaneità che aveva il bambino nei confronti del genitore valido.

Tornando alle immagini oniriche che raccontano i primi mesi, anni di vita del bambino, oltre al contenuto è importante la forma del sogno stesso come si diceva: in molti casi la sensazione vissuta dal terapeuta è di vaghezza, di contorni indefiniti e a parole si potrebbe definire una forma fluttuante. Rispetto ad altre immagini apparentemente simili ma disfunzionali, questa forma non contiene il peso della patologia, che corrisponde alla forma non-definita dell’adulto e che provoca un vissuto non coerente, dissonante e quasi spiacevole nel terapeuta che la riceve, la ascolta e la interpreta.

La non definizione invece dell’immagine cui si fa riferimento rappresenta esattamente la non nitidezza irrazionale dei vissuti sani del bambino: una sorta di mondo ovattato, con scarsi margini e confini ma che appartiene al sé in via di definizione, non al sé perso o frammentato.

Con le parole è complesso raccontare la differenza tra le forme dei sogni ma sarà esperienza nota a tanti terapeuti che si ritrovano a lavorare con il materiale inconscio onirico il percepire e l’intuire la diversità tra un’immagine valida e una patologica anche se possono avere la stessa rappresentazione oggettiva.

Michele Battuello