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La Ricerca in Psicoterapia come Narrazione


Consegnare gli effetti e l’efficacia della relazione psicoterapeutica ai numeri dei Risultati e alle Metodologie applicate per ottenerli si allontana dalla Ricerca in Psicoterapia e dai significati stessi della relazione umana, anche se, negli ultimi anni, sempre più si cerca di ottenere questi Risultati (ho evidenziato in maiuscolo le parole come richiedono i lavori di Ricerca, divisi per Metodi e Risultati, paragrafi indispensabili a qualsiasi pubblicazione di rigore scientifico).

Il conflitto nasce spesso dalle contraddizioni che la Cultura Psicoterapeutica propone sulla Ricerca perché da una parte sostiene un’identità specifica della cura con la relazione, la Psicoterapia, attribuendo significati consci e inconsci al rapporto con il paziente e rivendicando la qualità della relazione tra i principali attori del processo, dall’altra tenta inesorabilmente di prendersi lo spazio della medicina organica per asserire il suo esserci come scienza affine, inseguendo il materialismo dei dati come l’oggetto concreto di conferma che sembra così avere la funzione più di legittimare la Psicoterapia stessa che valutare l’efficacia della cura.

Il mio pensiero, nell’esporre queste riflessioni, è sempre rivolto ai pazienti che si confrontano con tali ambivalenze, inconsapevoli, e vivendole appieno nella relazione psicoterapeutica.

La paura della Cultura Psicoterapeutica è legata al pregiudizio di irrealtà della disciplina, considerata astratta e quindi inattendibile e a una successiva stigmatizzazione ancora oggi esistente e questo ha comportato la necessità di dimostrare che la relazione di cura non è effimera, inseguendo gli stessi mezzi e parametri osservazionali delle ricerche fondate sui nessi causa-effetto, peculiari della medicina organica e della metodologia empirica.

La conseguenza è stata, e in parte lo è tuttora, la subordinazione che la Psicologia e nello specifico la Psicoterapia hanno sofferto rispetto alla Medicina, soprattutto la Psichiatria e questa incomprensione culturale ha sempre offerto il fianco a diatribe interminabili che hanno progressivamente svuotato la vera Ricerca sull’umano, per rivincite connesse al bisogno di un riconoscimento sociale e scientifico.

Come le famiglie che devono mostrare una parvenza di intesa e armonia agli occhi del mondo proprio quando dentro le mura di casa l’atmosfera è tutt’altra, così oggi Psichiatria e Psicoterapia sembrano trovare dei punti di incontro con l’integrazione da parte di entrambe delle Neuroscienze, il grande diplomatico sceso in campo, ma le contrapposizioni all’interno continuano come dimostra la Ricerca rivolta a primeggiare nei Risultati.

Prosegue così il cortocircuito nel tentativo della Cultura Psicoterapeutica di rendere tangibile un qualcosa, la relazione tra esseri umani, che è creduta intangibile dalla visione materialistica del mondo di matrice organica: fare Ricerca seguendo questo errore sulla realtà umana, si continua a confermarlo inevitabilmente.

L’occhio razionale non intuisce la realtà umana oltre la fenomenologia e la chiama spirito, anima, secondo una storia millenaria che ha visto la fantasia, le emozioni, le passioni come uno sbaglio, un qualcosa oltre l’umano e non appartenente invece al rapporto tra esseri umani.

Questa visione monoculare sostiene la Psicoterapia come astratta, come inconcludente, come posto del pianto per le debolezze delle persone in contrapposizione con la medicina organica, la Psichiatria storica che inquadra una patologia e la cura con il farmaco.

La patologia come espressione di sintomi, incastrata in una specifica diagnosi, sembra quindi dare più realtà e forse purtroppo più dignità alla persona che non il pensiero che sia dovuta a stati emotivi che prendono origine dalle relazioni interumane; anche se la diagnosi si porta dietro chilometri di stigmatizzazione per i pazienti e le loro famiglie, essa è più tangibile del pensare la malattia come patologia della relazione.

Se la Cultura Psicoterapeutica continua in tutti i modi a inseguire protocolli o modelli di Ricerca mutuati dalle scienze organiche e malamente adattati alla scienza della relazione, invalida il lavoro di liberazione dell’essere umano dalla centralità della ragione cosciente che, intrinsecamente, è uno degli obiettivi primari della Ricerca in Psicoterapia.

La non tangibilità della Psicoterapia è quindi solo per quel mondo che non considera tangibile il rapporto umano che invece è assolutamente visibile e percepibile se rimane aperto l’occhio dell’intuizione della realtà umana, l’occhio della fantasia, del lasciarsi andare al primo anno di vita come caratteristica specie-specifica della fisiologia della relazione.

La forzatura secondo me spiazzante per la cura dei pazienti è che nel setting si applicano teorie che raccontano l’importanza della relazione, dei suoi aspetti non verbali, della bi-direzionalità del rapporto all’interno dello stesso processo psicoterapeutico, che sono in contrapposizione con la ricerca di Risultati strutturata in modo da disconfermare quanto proposto nelle sedute che così diventano parole astratte e confondono il paziente per le discrepanze interne allo stesso psicoterapeuta che propone la cura con tali presupposti.

La forte ambivalenza conferma che sottostante a essa, è facile trovare il bisogno di rivendicazione come bisogno di supremazia e potere rispetto all’ingiustizia subita che allontana la Cultura Psicoterapeutica dalla cura.

Le motivazioni sono nella storia e sono legate proprio al conflitto tra l’occhio che intuisce spesso negato dall’occhio che vede, la mente che controlla, gestisce e domina gli esseri umani tramite i ruoli come conseguenza di realtà umane pensate come superiori e inferiori dove il superiore ovviamente esercita un potere.

Il potere cosciente è sempre rappresentato da posizioni istituzionali, riconoscimenti sociali gerarchici e anche economici, con estensioni che spesso superano i confini del proprio giardino e guadagnano spazio in altri campi come la Psicoterapia e la Psichiatria hanno spesso fatto, sempre la prima sentendosi un passo dietro alla seconda.

La Cultura Psicoterapeutica ha il dovere di spogliarsi di questa rabbia ancestrale e aprire l’occhio dell’intuizione anche in merito alla Ricerca: la conferma dell’unicum mente corpo e la non scissione della persona in due compartimenti, caratterizza la realtà umana costituita dal corpo e dalla relazione che hanno due diverse tangibilità.

La cura di queste ha presupposti strettamente correlati alle specificità dell’uno e dell’altra: il corpo segue le caratteristiche della fisiologia organica e la relazione quelle della fisiologia della relazione per cui l’organo si tratta con la sostituzione o il trattamento dell’oggetto organo che risponde a un’azione esterna con l’oggetto rimozione chirurgica o assunzione di farmaci, la relazione con un’azione reciproca attivata da una relazione esterna di cura.

Un’unica realtà umana ma avvicinamenti diversi alle sue due tangibilità: quella fisica e quella relazionale e così approcci alla cura e alla ricerca coerenti con l’una o l’altra e a conferma che non si tratta di compartimenti stagni separati, la psicosomatica è l’espressione più evidente di contatto con l’unicum così come l’associazione di patologie internistiche con il piano relazionale, per cui le cure si possono integrare con percorsi comuni per il quadro clinico medico e relazionale.

La riflessione sulla Ricerca è affidata a questa visione dell’umano: se il presente scientifico è ancora vincolato da un pensiero organicista che pertanto mantiene la scissione corpo mente la deve contrastare e per questo non è ipotizzabile né tantomeno realizzabile l’inseguimento continuo dei parametri materiali-corporei da applicare a quelli relazionali.

Al contrario la Cultura Psicoterapeutica deve proseguire la sua Ricerca indipendente, basandosi sulla relazione e le sue caratteristiche.

Solo il mondo che guarda con un occhio solo ritiene che, se la Psicoterapia non produce numeri di efficacia correlati a strumenti di cura ugualmente replicabili non sia scientificamente rilevante, relegandola a non-scienza.

La relazione ha altre caratteristiche, la propria Fisiologia, e altri strumenti di trattamento, che integrati con quelli organici costituiscono Fisiologia e Cura dell’Essere Umano che hanno filoni di Ricerca distinti.

Il tentativo di adeguarsi a un linguaggio diverso non permette di proseguire il percorso di Ricerca proprio della Psicoterapia perché intralciato da ostacoli che la stessa Cultura Psicoterapeutica erige nel suo cammino e che negano la concretezza della cura relazionale, tentando di assoggettarla a un materialismo che è quanto più lontano ci sia dalla stessa Psicoterapia.

Il non riconoscimento di questa realtà di Cura e Ricerca da parte di un ambito specifico della Scienza, non è ragione sufficiente per negare verità alla Psicoterapia e se le conseguenze si esplicitano con il rifiuto di validazione, non significa che si debba trovare la strada dell’adeguamento che per ora, oltre ai numeri dei Risultati, ha portato alla sottomissione di parte della Cultura Psicoterapeutica alla legge della diagnosi categoriale, al pensiero sull’incurabilità della malattia mentale e alla negazione così della stessa efficacia della Psicoterapia.

Nella ricerca di Risultati i pazienti in Psicoterapia devono essere necessariamente inquadrati e suddivisi per caratteristiche che sono diagnosi e trattati con modelli o protocolli che devono essere standardizzati in qualche modo e quindi contenere un apriori sulla relazione, così come i numeri che ne derivano hanno un nome comune a tutte le persone che le possano definire dentro quel risultato.

In questo modo è evidente che le parole Paziente, Psicopatologia, Malattia, Trattamento assumono la maiuscola della pesantezza del significato che però, paradossalmente, la stessa Cultura Psicoterapeutica vuole abolire per non stigmatizzare e per allontanarsi dalla medicina organica: anche in questo caso si entra in un’incoerenza di base  che ulteriormente frammenta il valore e il contenuto della Psicoterapia.

Fisiologia è funzionamento, patologia è non funzionamento della fisiologia, e dall’allergia al polline a un’ansia da prestazione specifica, nel momento in cui il corpo o la relazione non fa sentire bene una persona non c’è nulla di giudicante nell’essere in quel momento e in quella condizione malati, pazienti, e la ricerca di un trattamento è comunque una cura, l’adeguatezza del trattamento al problema è la vera medicina sia essa farmacologica, chirurgica o relazionale.

I principii di base cui attingere per la ricerca in Psicoterapia sono dentro alla relazione stessa: nel setting ascoltiamo storie, con la restituzione, l’interpretazione, raccontiamo diversamente quella storia o talvolta ne immaginiamo con il paziente una nuova, il tempo è impiegato dalla verbalizzazione anche se è solo in piccola parte il veicolo dei contenuti e dei significati di quel viversi insieme nell’ora di Psicoterapia.

Facciamo Ricerca raccontando, con una narrazione che nasce dalla separazione psicoterapeuta-paziente di seduta in seduta, durante le pause estive e/o invernali e alla fine del processo psicoterapeutico.

L’identità che si realizza e prende vita nel rapporto, con l’incontro con l’identità dell’altro, matura e aumenta le sue sfumature con la separazione dal rapporto stesso che rappresenta quel tempo di metabolizzazione dei vissuti se non è associato a perdita e abbandono con conseguente bisogno di rimanere legati al rapporto stesso.

La qualità del rapporto psicoterapeutico è identità per il paziente che mette in gioco di settimana in settimana per trasformare le dinamiche patologiche e ritrovare un linguaggio relazionale non permeato dalla sofferenza, e per lo psicoterapeuta che con gli altri pazienti e nella sua vita privata esprime il contenuto qualitativo della relazione con il singolo paziente come propria identità che è anche Ricerca e per questo narrazione.

Anche i pazienti spesso narrano la loro esperienza di Psicoterapia, verbalmente o con la scrittura e anche questo è Ricerca come quella dello Psicoterapeuta che narra, di solito scrivendo, ma con un’intenzione specifica differente che è quella di costruire, insieme alle narrazioni degli altri psicoterapeuti, l’identità della Psicoterapia.

 

Michele Battuello