Blog
Blog

La Formazione dello Psicoterapeuta e il Lavoro di Gruppo

Parlare di Psicoterapia non può prescindere dal punto di partenza che è la Formazione.
Credo, per esperienza personale e professionale, che la Formazione sia il nodo centrale per lo Psicoterapeuta per la rilevanza implicita dell’argomento e per le criticità che nel panorama contemporaneo incontra.
La conoscenza teorica è necessaria e affascinante al tempo stesso poiché implica la capacità di scelta rispetto al pensiero, al modello, alla personale applicazione della Psicoterapia ma non è essenziale, mentre invece l’esperienza formativa, in particolare all’interno di Gruppi, è di grande rilevanza.
Se provo a pensare un percorso ideale ma anche molto reale, immagino un primo periodo del tutto dedicato al lavoro di Gruppo e in seguito un tempo affidato agli aspetti teorico-metodologici che dovrebbero essere selezionati dallo studente in base agli spunti emersi in seguito all’esperienza più che passivamente proposti dall’Istituzione.
Seguo semplicemente un pensiero di coerenza: se la Psicoterapia è la cura della relazione con la relazione, assunto oramai riconosciuto da tutti gli orientamenti, la prima cosa che deve essere proposta allo studente è la relazione e, visto che non è un paziente poiché l’obiettivo finale è la maturazione a Psicoterapeuta, lo specializzando si deve confrontare con la Fisiologia della relazione.

Questa non è altro che la Fisiologia umana e da questa sappiamo che l’individuo dalla nascita è immerso in una matrice affettiva interpersonale che gli permette lo sviluppo psicofisico adeguato alla specie.
Solo in un secondo momento il bambino utilizzerà l’identità acquisita per attivare, tra le altre, quelle peculiarità che sono la ragione con il pensiero cosciente e le azioni da essa scaturenti in un processo in continuo divenire.
Tutto quello che saremo, la nostra identità separata e autonoma, dipende dalla qualità dei vissuti affettivi della relazione nei primi anni di vita.
L’esterno (i genitori) è in grado di coadiuvare il bambino in due processi fondamentali per lo sviluppo: una risposta affettiva adeguata e potente alle richieste dei primi mesi di vita e una capacità progressiva di separazione per permettere quell’iniziale ma imprescindibile passaggio critico verso una possibilità di esistere anche senza la presenza fisica dell’altro.
L’obiettivo non è la solitudine o l’individualismo ma al contrario, la libertà di andare verso il mondo e scegliere senza l’angoscia di perdita del rapporto originario.

Il pensiero cosciente è così coerente espressione dell’identità della persona e non di una ragione dominante necessaria a proteggersi da un senso di sé precario o disorganizzato a causa dell’incertezza affettiva vissuta e maturata nei primi anni di vita a causa dell’ambiente esterno.
L’evidenza di questi passaggi è riproposta, come ho descritto, in Psicoterapia, con l’obiettivo di ripristinare la fisiologia del bambino nel momento in cui ci troviamo di fronte al paziente adulto, e la sovrapposizione è naturale anche per il processo formativo anche se con delle precisazioni.
Lo studente deve immergersi prima in una matrice relazionale e poi svezzarsi, rendersi autonomo e trovare un pensiero cosciente che corrisponda alla sua personalità emergente, pertanto al modello o agli spunti teorici professionali.

Pensare così il processo mi ha portato ancora di più a credere fermamente che una prima parte della formazione in Psicoterapia, rifacendosi alla Fisiologia della Relazione dovrebbe essere uguale per tutti i modelli perché quella base relazionale-affettiva è trasversale nello spazio perché appartiene a tutte le organizzazioni sociali e nel tempo perché non è cambiata nei millenni della storia dell’uomo.
Il primo anno di vita è uguale per tutti mentre quello che cambia drasticamente nello spazio-tempo delle diverse culture è il processo di svezzamento, iniziale proposta delle autonomie, che porta a modelli di riferimento completamente diversi gli uni dagli altri, offrendo l’opportunità della diversità.
A questa fase di separazione dovrebbe corrispondere, per il futuro psicoterapeuta, l’accesso a una scelta formativa eterogenea che offra e proponga diversi modelli di approccio alla cura della relazione ma che si inseriscano in una base sicura e unica dello studente.
Oggi più che mai la drammatica esperienza del Coronavirus ci ha riportato a prendere contatto con la realtà che la base di ognuno di noi, popolo, nazione o continente, è identica e non si può prescindere da questa.

La differenziazione tra persone come elemento fisiologico originario è un grave errore di pensiero sull’essere umano con conseguenze che la storia ci ha drammaticamente, in molte occasioni, raccontato.
La meravigliosa diversità che ci rende speciali e differenti gli uni dagli altri è dovuta proprio al fatto che abbiamo una matrice affettiva relazionale comune imprescindibile.
Se il primo periodo della formazione deve immergere lo studente nella relazione è necessario raccontare in che modo avviene questo contatto esperienziale.
Lo specializzando ha già un abbondante bagaglio di conoscenza teorica acquisito con la laurea, spesso affronta esperienze lavorative che lo mettono a confronto con la clinica, la psicopatologia e la relazione e non è completamente sprovvisto diciamo in generale, di informazioni.
Per la mia esperienza con i gruppi e per il significato sociale che hanno, credo che il contesto più idoneo al percorso di formazione sia proprio quello gruppale perché attiva immediatamente il confronto con gli altri membri/colleghi.
Oltretutto, nella maggior parte delle Scuole, essendo prevista la Psicoterapia Individuale, di cui condivido pienamente utilità e obiettivi, si può portare avanti un processo distinto e separato che è proprio il lavoro di Formazione di Gruppo.
Cerchiamo di focalizzare gli obiettivi determinanti nell’orientare la modalità di lavoro del Gruppo.

Lo studente ha come traguardo-guida del suo percorso, l’assimilazione di una capacità relazionale adeguata ad affrontare le problematiche del paziente.
Per ottenere tale risultato è necessario immergersi in un percorso in cui viva la relazione, sperimentando il confronto, la messa in gioco e le varie sfaccettature delle emozioni proprie e dei colleghi.
Il lavoro non consiste però soltanto in un esercizio emotivo-relazionale poiché per essere psicoterapeuta dovrà anche aver risolto le proprie conflittualità presenti e storiche per una ridefinizione il più possibile integra di identità.
In questo passaggio si delinea un aspetto peculiare della formazione di gruppo che è anche psicoterapia in quanto coloro che hanno delle dinamiche in elaborazione nel percorso individuale, trovano lo spazio gruppale dove affrontarle ulteriormente e sperimentarle nel loro cambiamento.
Anche coloro che apparentemente non hanno tali esigenze cliniche, vivranno lo spazio di formazione come un rinforzamento e raffinamento della loro identità.
Inoltre l’esperienza gruppale ha la funzione di stimolare la capacità intuitiva della persona/studente favorendo il passaggio sentire-pensare-verbalizzare nei confronti del materiale portato dal paziente.

Il non bisogno di pensare prima e agire poi ma fidarsi del proprio sentire a vantaggio dell’espressione genuina nella relazione è uno dei processi che nell’idea di un’unica Psicoterapia dovrebbe essere tenuto in considerazione.
Visti gli obiettivi, è necessario parlare di come vengono raggiunti nel lavoro di formazione di gruppo, pertanto la metodologia.
Il presupposto cui faccio riferimento è che l’esperienza deve essere rappresentata in uno spazio e tempo libero il più possibile dai condizionamenti teorici.
Gli studenti provengono da un’approfondita conoscenza mentale della psicologia e delle innumerevoli declinazioni così come della psichiatria per i medici pertanto è molto rischioso per la genuinità del processo proporre un modello poiché sarebbe inquinato dal pensiero e dalle nozioni a riguardo.
Se l’approccio formativo cercasse di ricalcare quello che conosciamo sui gruppi, dinamiche di gruppo, gruppoanalisi e psicoterapie di gruppo si porterebbe nelle sedute un qualcosa di conosciuto cui pertanto gli studenti anche inconsapevolmente sarebbero preparati poiché conoscono le fasi del gruppo, i tipi di dinamiche attivabili e così via.
Se a questo si aggiunge che si devono confrontare con il conduttore che è rivestito anche del ruolo di docente che si occuperà delle valutazioni, credo sia quasi impossibile raggiungere gli obiettivi preposti.
Tutto questo può essere risolto, almeno in parte, con la messa in gioco del conduttore soprattutto all’inizio del processo.

Lo psicoterapeuta/docente deve guadagnarsi la fiducia degli studenti nel far sentire il setting come uno spazio-tempo realmente libero per esprimersi.
Pertanto il conduttore non può essere osservatore esterno, altrimenti è ancora di più il professore giudicante, non può provocare o sollecitare i partecipanti all’azione emotiva poiché li obbligherebbe a un esercizio emotivo, invece può favorire l’entrata in contatto con l’intero sistema mettendosi in gioco in prima persona.
È proprio all’inizio che l’Io umano e professionale del conduttore deve emergere, è il genitore che non solo rinforza ma attiva nel figlio il processo evolutivo, giocando, ridendo, piangendo e confrontandosi con il figlio stesso.
È un riscontro emotivo potente che permette al bambino che dirige tutta la vitalità verso la relazione di trovare una risposta nelle emozioni espresse dal genitore stesso che gli danno e daranno la certezza di poter continuare a esprimersi e nel tempo di iniziare a confrontare le proprie emozioni con quelle che arrivano dall’esterno sociale per trovare il suo personale modo di viverle, recepirle e trasformarle in identità.
Il conduttore pertanto utilizza il bagaglio umano, professionale, esperienziale e teorico come contenuto di identità e non come messaggio cosciente da condividere con il gruppo, per essere se stesso e forte attivatore delle emozioni circolanti partendo dalle sue.

L’unico modo e pertanto metodologia per lasciare realmente che un gruppo di formazione possa raggiungere gli obiettivi è donarsi, in base a quanto la relazione lo richieda.
Ci possono essere gruppi che hanno già una buona capacità emotiva e allora il conduttore può permettersi più silenzi, maggiori posizionamenti laterali e altri in cui la percezione affettiva è forte ma il gruppo è bloccato per paura, ansia, incertezza e allora entrando dentro la relazione con il suo vissuto porta alla progressiva rottura del muro di gomma emotivo che si è instaurato.
Se si aggiunge anche che lo stesso conduttore non ha partecipato alla costituzione del gruppo di formazione, poiché questo proviene direttamente dalla classe-anno di corso, e quindi reciprocamente non c’è stata possibilità di scelta, è comprensibile come debba veramente mettersi in gioco per guadagnare la fiducia del gruppo stesso.
Nel proseguimento del processo il conduttore se è riuscito nell’intento, si accorgerà che gli studenti si attiveranno spontaneamente e per questo diventa utile la sperimentazione della conduzione da parte dello studente così come la co-conduzione, poichè si assume la responsabilità della gestione del gruppo, viene ancor di più smorzata la figura del docente che è parte integrante del gruppo come partecipante.

Michele Battuello