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Il Gruppo Strategico: la dimensione emotiva del lutto per studenti del Corso di Laurea Infermieristica


La storia del modulo esperienziale nato nel 2020 per i laureandi in Infermieristica e la rilevanza del lavoro di Gruppo non solo per temi specifici come il lutto ma in generale per i futuri professionisti in ambito sanitario è descritta altrove nei suoi presupposti https://www.mbpsicoterapia.it/la-dimensione-emotiva-del-lutto-per-studenti-del-corso-di-laurea-infermieristica-il-lavoro-di-gruppo/ e https://www.mbpsicoterapia.it/professioni-sanitarie-e-formazione-sullesperienza-relazionale/ .

Il titolo “La dimensione emotiva del lutto” si trasforma ai miei occhi in “La dimensione emotiva” punto e a capo, al massimo si può aggiungere (…) del Gruppo perché, anno dopo anno, gli studenti sono alla ricerca di spazi emotivi sempre maggiori, sono veramente, per fortuna, affamati di relazione.

La causa originaria è il Covid e i due anni di stravolgimenti, che prenderanno sempre più il ruolo di capro espiatorio di problematiche sociali spesso ben sottostanti al, seppur grave, terremoto causato dalla pandemia.

Emerge la crisi dell’approccio alla Formazione che negli ultimi decenni si è dedicato solo allo sviluppo delle capacità tecniche dei futuri professionisti, parlo della Salute, lasciando delle lacune importanti sulla preparazione emotivo-espressiva degli studenti.

Le teorie, tante, sull’importanza del debriefing, del lavoro di equipe anche sulle emozioni, dei concetti di burn-out, fino alla gestione del lutto, sono rimaste sospese nelle menti come concetti, non avendo o quasi, avuto lo spazio esperienziale e formativo adeguato.

I tirocini riempiono gli studenti di cariche emotive che non trovano un loro incontro con l’altro, con gli altri, direi in generale con il Gruppo, ma restano, come dei detonatori, sospesi nella pancia del singolo che deve trovare il proprio modo di gestire tali cariche.

Mi ritrovo anche a osservare come, a prescindere dalle neo esperienze lavorative, le persone-studenti, siano spesso a digiuno di linguaggi relazionali maturi propri, per questo parlo di “La dimensione emotiva” prima di pensare al lutto.

Il Gruppo, di matrice Strategica perché prende in prestito lo scarso numero degli incontri – pertanto un lavoro “breve” ­–, l’attivazione del conduttore, il lavoro sul qui e ora che destruttura ruoli e obiettivi prestabiliti, la centralità sulla relazione come unico punto di riferimento del conduttore e la persona prima del professionista, il Gruppo, dicevo, chiede di conoscere i rapporti, di viverli e di esprimere tante emozioni interiorizzate individualmente ma poco comunicate e quindi sature di bisogni inespressi.

Gli studenti sono veri funamboli che oscillano tra le esperienze formative, soprattutto di tirocinio, che li chiamano a occuparsi dell’altro dovendosi destreggiare nell’oceano emotivo dei pazienti e tra le esperienze personali che li trovano impreparati alla comunicazione, alla gestione delle proprie emozioni, alienati dalla profondità del rapporto con gli altri, per motivazioni sempre più socio-culturali che specificamente individuali.

Li ascolto e percepisco l’inizio di una maturazione per cui, il dolore e la sofferenza del paziente, inclusa la morte, trovano una strada di metabolizzazione e di confronto con l’esperienza ma poi, quasi come uno schiaffo, sento l’imbarazzo del loro non riconoscere ad esempio, quali siano le loro paure, i loro bisogni non risposti e i loro desideri se non in forma didascalica o basica nella capacità di insight.

È dirimente scoprire che gli stessi studenti hanno avuto e hanno ancora bisogno del Gruppo classe come di un contenitore emotivo di bisogni affettivi primari, in cui il confronto professionale è solo l’aspetto fenomenologico del loro stare insieme perché in realtà cercano una risposta d’affetto che sembrano non avere il codice per chiederla, comunicarla, condividerla.

Vogliono parlare di lutto ma il peso del vissuto, anche importante, all’interno del reparto, arriva come uno spostamento dal parlare di sé, come una piccola dissociazione per cui lo studente può toccare emozioni intense e in parte viverle, se si proietta come professionista e non come persona.

L’astrazione nel pensiero dell’infermiere che “si abitua al distacco emotivo” gli permette di stare dentro i flussi emotivi innumerevoli e variabili del reparto; riportare il contatto con la realtà della persona-infermiere, è un’azione pericolosa che innesca varie fughe.

Non sento congruo, anche se coerente con l’obiettivo, sostenere, soprattutto all’inizio, la direzione del lutto o del racconto professionale ma riposiziono il Gruppo sugli aspetti relazionali delle persone e non dei professionisti e utilizzo il Gruppo stesso, sono solo come contenitore ma come spazio di maturazione.

Il riportare la dinamica a un livello non professionale, ma a un tempo antecedente, simbolicamente l’adolescenza, non riducendo però la relazione alla sola espressione emotiva, permette di creare un clima idoneo al lavoro interpretativo se e quando necessario.

La partecipazione attiva del conduttore, il sintonizzarsi sui significati dell’esperienza dei partecipanti, apre alle ipotesi, alle restituzioni e anche alle frustrazioni tipiche dell’interpretazione psicoterapeutica vera e propria: se il Gruppo risponde all’interessamento del conduttore più al personale che al professionale dello studente, si possono evitare in parte le difese sul rischio di giudizio da parte dei colleghi che sono focalizzate sugli aspetti lavorativi nell’inevitabile competizione che il corso di studi in sé contiene come sua natura.

In questo modo, sottratti all’ansia da prestazione, gli studenti possono esplorare loro stessi e gli altri, esponendo, inconsapevolmente, le emozioni di base così come le loro personalità e permettendo, sempre in parte, l’ingresso dell’estraneo, il conduttore, per mettere mano alle risorse come alle criticità individuali per chi le esprime.

Il lavoro è sempre in corso…

 

Michele Battuello