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Caratteristiche del Conduttore del Gruppo di Formazione in Psicoterapia


Uno dei lavori più interessanti sull’identità dello psicoterapeuta e della rilevanza della sua formazione, che racchiude i pochi lavori scritti negli anni in confronto a quelli reperibili sui pazienti in Psicoterapia, è la corposa tesi di Dottorato di Liat Tsuman Caspi del 2012 dal titolo “The Identity Formation of Psychotherapist in Training- La formazione dell’identità degli Specializzandi in Psicoterapia” (https://academiccommons.columbia.edu/doi/10.7916/D80G3S49 ).

È un documento consultabile online, messo a disposizione della Columbia University e, questa disponibilità di materiale, come descrivevo precedentemente (https://www.mbpsicoterapia.it/rilevanza-delle-presentazioni-ai-congressi-1-firenze-2017/ ) è importante per rendere la Ricerca fruibile a tutti come spunto di riflessione e soprattutto di condivisione come dovrebbe essere sempre.

Il lavoro della collega presenta un elemento comune, osservato e analizzato in tutti gli studi presenti in letteratura: la dinamica identificatoria dello studente nei confronti del Supervisore Clinico, principale figura presa in considerazione come persona-guida all’interno del processo di formazione.

Associata a tale dinamica si è spesso rilevata ansia nei confronti del giudizio del Supervisore stesso, visto e vissuto, in quanto oggetto di identificazione, come il maestro che valuta gli allievi.

Credo che l’attività di Supervisione non possa essere considerata come principale strumento formativo esperienziale-clinico, poiché propone inevitabilmente i ruoli da cui vogliamo svincolare prima di tutto i pazienti e, insieme con loro, anche gli studenti, come confermano le conclusioni della gran parte della bibliografia in materia.

La Supervisione è uno spazio fondamentale all’interno di una Scuola di Specializzazione in Psicoterapia e si occupa prevalentemente di aiutare lo studente a riflettere e a osservare i suoi passaggi relazionali durante le prime esperienze cliniche.

All’interno della Supervisione entra molto spesso il personale/privato dell’allievo in merito alle sue reazioni con il paziente e questo “personale” a maggior ragione dovrebbe essere affrontato nella Psicoterapia Individuale e anche nel lavoro di Gruppo uno strumento di formazione che dovrebbe essere incluso in tutti i programmi, indipendentemente dal modello psicoterapeutico di riferimento.

La posizione up del docente/supervisore non permette al futuro professionista di vivere realmente l’esperienza di riorganizzazione del proprio Sé in preparazione a quello professionale.

Per questo la Supervisione non può essere l’unico spazio esperienziale ma è da considerare soprattutto nella sua valenza clinico/professionale, step distinto e separato dal lavoro sull’identità della persona-psicoterapeuta.

La Psicoterapia Individuale, per chi la sceglie durante il quadriennio, offre un setting importante e privato per lo studente, come è intuitivo pensare, e lo psicoterapeuta si muove verso lo studente/paziente per aiutarlo a risolvere le sue problematiche.

Poiché il percorso di Psicoterapia è suggerito ma non obbligato dal Miur e pertanto dalle Scuole, la possibilità di uno spazio dedicato a un lavoro esperienziale su di sé in un contesto gruppale, è a maggior ragione un’importante risorsa formativa che permette una maggiore copertura sul rischio che il Diploma sia consegnato a professionisti che non abbiano affrontato i propri conflitti almeno nei loro nuclei principali.

All’interno del lavoro di gruppo invece si utilizza il materiale della psicoterapia individuale integrato con le esperienze degli altri colleghi e si sperimenta anche lo psicoterapeuta all’opera, il conduttore per l’appunto.

Come ho descritto, uno dei punti chiave di questo approccio è proprio rappresentato dal vivere e percepire sulla propria pelle, studenti e psicoterapeuta, che cosa sia il modello proposto in cui tutti i partecipanti entrano nella costituzione e attivazione del gruppo di formazione.

Lo psicoterapeuta pertanto non può mantenere una posizione up rispetto agli altri membri perché rinforzerebbe quello che già inevitabilmente vivono, il rapporto con il Docente.

L’obiettivo è invece di scardinare il ruolo e potersi affidare alla Persona psicoterapeuta che per agevolare il processo non può presentarsi altro che come se stessa, chiaramente sapendosi muovere ed esponendosi in base alla situazione e a ciò che permette il clima di gruppo.

Un’attitudine così descritta risponde anche a un criterio fondamentale di coerenza da parte dello psicoterapeuta/formatore stesso che non può chiedere agli studenti di mettersi in discussione, di aprirsi ai contenuti emotivi personali e soprattutto ai conflitti, proponendo la sua figura come occhio esterno al gruppo o come osservatore e facilitatore di un processo cui lui o lei prende parte marginalmente.

La consapevolezza continua dei futuri professionisti all’interno di una Scuola è sempre di essere controllati e valutati, il ruolo non si scardina facilmente, pertanto è difficile pensare che l’eventuale apertura all’interno di un gruppo sia pienamente spontanea se si mantiene questa posizione del conduttore.

Allora lo Psicoterapeuta/conduttore di un Gruppo di Formazione è, al pari o più degli altri membri, dentro la relazione fin dall’inizio anzi, soprattutto all’inizio, per rappresentare con la sua presenza attiva la vera possibilità di ingresso nel lavoro di gruppo.

È una realtà, come già detto, completamente distinta dalla Psicoterapia di Gruppo grazie alla quale, proprio lo sperimentarsi realmente avvenuto durante la formazione, permetterà la libertà al futuro professionista di trovare una forma coerente con il proprio sentire e non con il proprio pensare, di proporre il suo modello di Psicoterapia individuale o di gruppo in cui la direzionalità sarà puntata sull’obiettivo, la guarigione del paziente.

Ci sarà, tra i futuri specialisti, chi utilizzerà il disvelamento, chi invece l’osservazione silente, chi sarà molto attivo e loquace e chi più riflessivo all’interno della propria stanza ma come conseguenza personale e professionale di una maturazione acquisita dall’esperienza di massima messa in gioco di sé e quindi la sua scelta sarà il più possibile coerente con le proprie corde emotive e relazionali.

Gli spunti teorici, i diversi approcci e possibilità proposte dalle Scuole e gli interessi specifici di ogni allievo diventeranno allora importanti e necessari come integrazione dell’esperienza e pertanto come sentiero integrato del proprio sentire la Psicoterapia.

Tutto questo non ripropone altro che la fisiologia evolutiva della relazione umana, vero cardine del rapporto psicoterapeutico che cura.

Il genitore non parla il suo linguaggio da adulto per essere compreso dal bambino ma con un atto di riconoscimento affettivo, utilizza le sue risorse per comprendere il linguaggio del figlio e permettergli di formarsi un’identità di sé di base, così deve avvenire fin dal momento in cui gli specializzandi sono presi in carico dal sistema Scuola.

All’interno di un gruppo di formazione non possiamo attivare dei movimenti pensandoli come dinamiche di gruppo affini a quelle che vediamo all’interno della Psicoterapia di Gruppo vera e propria, ma dobbiamo entrare fortemente nella relazione, non in maniera intrusiva ma affettiva, cioè rispondendo il più possibile all’intuizione che abbiamo dell’atmosfera del gruppo e delle sue necessità.

Il vissuto che arriva agli allievi e che sarà parte della costituzione del loro essere futuri psicoterapeuti non è solo il racconto delle nostre esperienze precedenti o dei suggerimenti per come agire in quella o quell’altra situazione ma è proprio il concedersi alla relazione per poter far vivere l’esperienza che poi riproporranno con i loro pazienti nella sua genuinità e destrutturazione rispetto a schemi cognitivi prestabiliti.

Lo psicoterapeuta del gruppo di formazione è quello che soprattutto nei primi incontri si muove molto all’interno del gruppo portando anche forti emozioni reattive nel momento in cui il gruppo agisce da muro di gomma rispetto alle emozioni circolanti, resistendo all’attivazione.

Si può senza dubbio attendere che i vissuti diventino progressivamente più espressi dagli studenti ma all’inizio può essere necessario mostrare chiaramente quello che sta girando all’interno del gruppo come testimonianza diretta e reale di possibilità, viste le limitazioni correlate al numero degli incontri.

In questo quindi si ribalta la posizione classica delle dinamiche di gruppo per cui lo psicoterapeuta è un osservatore quasi esterno per facilitare il processo evolutivo spontaneo del gruppo stesso.

Un lavoro che parte raccontando e ricercando un funzionamento primario dello psicoterapeuta in-divenire che andiamo a esplorare nel lavoro quadriennale perché diventi un senso di sé riacquisito da poter veramente trasmettere al paziente nella professione.

Non possiamo aver vissuto le esperienze che ci raccontano i nostri pazienti ma per entrare in contatto realmente con queste anche quando sono drammatiche e terrificanti sotto certi aspetti, possiamo permetterci di sintonizzarci sull’esperienza per cui, anche loro come tutti noi, sono nati sani e quella drammatica rottura non è nata spontaneamente da un sé deficitario ma da un attacco esterno.

Se lo studente nella sua piccola, grande esperienza personale può accedere a un senso di sé funzionante originario, potrà ascoltare in forma genuina il malessere dell’altro.

Tali presupposti sono alla base dell’approccio di Ricerca e Formazione del Centro di Psicoterapia di Roma.

L’esperienza di formazione di Gruppo così descritta trova uno spazio applicativo all’interno della Scuola quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia Strategica dell’IIRIS di Roma (Istituto Integrato di Ricerca e Intervento Strategico https://www.istitutostrategico.it/scuola-di-specializzazione/ ) e pertanto è focalizzata sulla formazione dello Psicoterapeuta e ha delle caratteristiche diverse dalla Psicoterapia di Gruppo e delinea un modo nuovo di pensare l’identità del futuro psicoterapeuta.

 

Michele Battuello