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Ancora sulle Diversità nella Cultura Psicoterapeutica e in Psicoterapia


Le due grandi ambivalenze di parte della Cultura Psicoterapeutica nell’affrontare il tema delle Diversità, della loro accoglienza e non stigmatizzazione, si rappresentano sul piano clinico e su quello della ricerca https://www.mbpsicoterapia.it/la-cultura-psicoterapeutica-e-la-questione-sulle-diversita/.
Nel rapporto con il paziente, se il pensiero sull’essere umano e le malattie mentali, è fondato sulla trasmissibilità diretta (organico/genetica), la malattia stessa incarna una diversità costituzionale, irrisolvibile della persona, che può trarre benefici dalla farmacoterapia e dalla psicoterapia, ma non curabile nelle sue radici.

Questo porta all’accettazione della diversità dell’altro/paziente e dell’aiuto, del supporto alla convivenza con questa condizione e a un messaggio di non giudizio sulla condizione stessa: è così sostenuta una potente negazione della realtà umana perché invece non esiste accettazione di un qualcosa che al contrario può essere modificato, trasformato e risolto con la cura relazionale, la malattia mentale per l’appunto.

Le conseguenze di un approccio così anti fisiologico si esplicano con una rassegnazione sulle possibilità esistenziali non solo dei pazienti ma di ognuno di noi perché un tale pensiero è mischiato da decenni nella Cultura in generale e non solo quella Psicoterapeutica.

La seconda ambivalenza è sul piano divulgativo, nella ricerca, ambito in cui sono sostenuti integrazione e confronto sul piano superficiale come comunicazione di intenti, in realtà la Cultura Psicoterapeutica è chiusa in tante piccole e differenti nicchie ognuna molto rivolta a proteggere i suoi confini.

Anche questa ambiguità ha ripercussioni sulla cura dei pazienti perché è irrealistico credere che all’interno del setting non si manifesti la vita sociale dell’uomo/donna psicoterapeuta anche se non verbalizzata e l’impatto che comportano importanti discrepanze tra quello che è interpretato o proposto al paziente e quello che differentemente lo psicoterapeuta, professa, vive e attiva fuori dalla stanza entra con forza nel rapporto.

La Cultura Psicoterapeutica dovrebbe camminare su un binario che includa sia l’andare di pari passo con i tempi come riconoscimento di evoluzione delle società umane, soprattutto con l’osservazione del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, ma anche un pensiero di tenuta e ancoraggio alle fondamenta dell’essere umano racchiuse nella fisiologia, nello specifico, la fisiologia della relazione.

Rimangono costanti infatti le caratteristiche affettive e di rapporto con il mondo che permettono lo sviluppo del bambino a individuo adulto: il primo anno di vita non è ancora cambiato nei secoli nell’attivazione della potenza della relazione, fondamentale per lo sviluppo psicofisico in toto dell’essere umano soprattutto nel permettere l’espressione di un’identità di base che sarà la locomotrice dell’identità adulta.

Questa è una realtà ancora immutata ma che spesso è negata, stravolta o modificata nella sua essenza dalla confusione che si crea rispetto a pensieri più diversificati che appartengono alle tantissime e differenti realtà e possibilità di espressione degli esseri umani, delle società e delle culture che vanno riconosciute ma non possono essere considerate originarie dell’essere umano stesso: tutto quello che ci permette di essere l’espressione della meraviglia delle differenze individuali è diretta conseguenza di una risposta comune, unica e insostituibile che parte dalla risposta affettiva dell’adulto nel primo anno di vita del bambino.

Questa uguaglianza è imprescindibile con la realtà dell’assenza della malattia mentale nell’assetto ereditario dell’essere umano, malattia che, quando si struttura nell’adolescente e nell’adulto, è sempre malattia della relazione, originata dal mondo esterno, spesso la famiglia di origine, altre volte rapporti con altre figure durante la crescita.

Dallo svezzamento al seno, alle prime separazioni, il bambino esprimerà sempre più la sua identità che giorno dopo giorno sarà caratterizzata dalle innumerevoli sfumature dovute alle altrettanto innumerevoli esperienze, fondandosi però su un colore di base unico, incontrovertibile, necessario che è quello della risposta affettiva che permette l’attivazione dell’emisfero destro per lo sviluppo psicofisico soprattutto nei primi tre anni di vita.

Questo periodo, in molti casi fino all’adolescenza, non può essere considerato come una lunga fase di minus del bambino o del ragazzo rispetto al mondo degli adulti, una tabula rasa, un’incompletezza del mondo dei mammiferi in cui una specie, la nostra, ha un cucciolo di uomo incapace di autonomia per molti anni, un essere umano quindi debole e fragile in origine.

Un pensiero del genere nega la fisiologia della relazione perché vive già il bambino un po’ come una parte della Cultura Psicoterapeutica pensa il malato come portatore implicito della malattia stessa: un bambino da proteggere, da accudire, da educare, da far crescere etc. che include la necessità del ruolo dell’adulto come condizione anch’essa a priori della relazione e quindi di potere.

La fisiologia della relazione invece dimostra che non esiste questione di fragilità in termini di rapporto ma di un linguaggio emotivo-espressivo differente in cui anzi, il bambino obbliga inconsciamente l’adulto a trovare un linguaggio che sappia rispondere a un’affettività piena e deliberata perché non condizionata da alcuno schema cognitivo, dalla razionalità, dalla coscienza vigile.

Sono due esseri umani che si incontrano e come tali, come dovrebbe essere anche per gli adulti, alla pari sotto il profilo di riconoscimento di identità l’uno dell’altro: diversi sono i linguaggi che esprimono che sono correlati direttamente a esigenze individuali diverse ma che si raccordano sempre nel desiderio di relazione con l’altro non di sviluppo dell’individualità come stare-senza-l’altro https://www.mbpsicoterapia.it/autonomia-differenze-tra-il-significato-culturale-e-la-ricerca-in-psicoterapia/.

Il bambino al contrario della ipotizzata fragilità, propone nel rapporto con il mondo esterno un sé originariamente integro che, proprio nel riconoscimento e nella risposta dell’altro, mantiene una sua integrità procedendo a una maturazione identitaria e di personalità.

Al contrario è l’adulto che comunque, nel suo pensiero e affettività strutturati anche dalla razionalità, dal pensiero cosciente e dagli schemi cognitivi, è chiamato a ritrovare il suo linguaggio spontaneo in risposta alla relazione con il bambino, a proporre un sé integro e precoce che spesso fatica a contattare o ha dovuto negare e proteggere per motivi storici personali.

La relazione in cui questo scambio è garantito dal riconoscimento dell’identità del bambino come paritaria a quella dell’adulto, permette, come in tutti i rapporti anche maturi, che esistano come conseguenza, dei ruoli, naturale conseguenza del qui e ora di ogni rapporto.

A questo punto il bambino può essere pensato e vissuto come essere umano che ha bisogno di accudimento, di protezione – è fuor d’ogni dubbio che non può attraversare la strada da solo o vestirsi a 1 anno – ma non è deficitario in termini di identità, debolezza conseguente solo alla proiezione del pensiero dell’adulto Uguale riflessione vale per il paziente: la psicopatologia non è legata a un deficit, a una diversità intrinseca ma a una non risposta che proviene ed è originata precocemente dall’adulto verso di lui per cui un’integrità del sé si è iniziata a intaccare con le conseguenze che nel tempo, in caso, andranno a strutturare la psicopatologia.

Se si mantiene l’unicum corpo mente, l’identità del bambino evolve progressivamente acquisendo nelle diverse fasi di separazione, competenze relazionali, cognitive, espressive sempre più mature fino alla rappresentazione adulta dell’identità fondata sempre su un sé integrato.

Sono proprio le separazioni precoci, affettivamente tollerate dagli adulti di riferimento, che permettono al bambino di distinguere e riconoscere l’altro come distinto e separato da sé e se stesso come individuo con una propria identità, dinamiche relazionali che fondano un reale confronto con le diversità.

L’autonomia del sé, come ho scritto tante volte, è proprio quella capacità di stare nei rapporti non confondendo la propria identità con l’altro, che avviene invece nelle dinamiche identificatorie https://www.mbpsicoterapia.it/dinamiche-fusionali-e-di-identificazione-in-psicoterapia/.

Se non c’è necessità di difendersi, di legarsi all’altro per evitare abbandono o angoscia, o per cercare risposte affettive irrisolte, la diversità del mondo è allora veramente un aspetto con cui ci si può confrontare che si può esplorare e conoscere senza paura.

Spesso invece, oltre il singolo, possono esserci sottogruppi, culture, aggregati umani sotto svariati nomi, che esprimono un’incapacità sociale di percepire un’identità distinta e separata e per i quali, di conseguenza, molte diversità rappresentano un pericolo e come tali vanno allontanate e giudicate.

Mi spendo molto sulle ambivalenze della Cultura Psicoterapeutica anche nell’ambito delle Diversità perché prima di tutto gli psicoterapeuti hanno un obbligo etico di curare i pazienti al meglio e questo meglio, nel nostro campo, implica una precisa conoscenza sulla realtà umana originaria, la fisiologia della relazione e in contemporanea perché il nostro lavoro è strettamente legato anche al sociale, al politico, al filosofico e di conseguenza al civile del mondo di appartenenza e da sempre, il messaggio sull’uomo della Cultura Psicoterapeutica ha un peso rilevante.

Le ambivalenze sul pensiero umano, le frammentazioni in numerosi sottogruppi, l’inquinamento di teorie esterne alla psicologia clinica e alla medicina, aumentano e confermano i divari ancora troppo esistenti tra esseri umani che non sono confronti sulle diversità ma sono conflitti contro la diversità.

Il mio sostenere i principi della fisiologia della relazione, di un pensiero unico alla base della Psicoterapia, del Potenziale Umano, delle contraddizioni della Cultura Psicoterapeutica, sono indirizzati a trovare, o forse ritrovare, un’integrità basale della cura relazionale psicoterapeutica, che ha una base unica, trasversale nel rapporto del bambino con l’adulto nei primi anni di vita, per poi potersi contaminare di approcci, angolazioni, sfumature assolutamente diverse e come tali affascinanti https://www.mbpsicoterapia.it/dinamiche-fusionali-e-di-identificazione-in-psicoterapia/; https://www.mbpsicoterapia.it/incontri-sul-sogno-e-la-sua-interpretazione-in-psicoterapia/; https://www.mbpsicoterapia.it/avvio-di-un-pensiero-unico-come-base-per-la-psicoterapia/; https://www.mbpsicoterapia.it/la-fragilita-del-presente-se-non-si-appartiene-al-passato-in-psicoterapia-e-nella-cultura-contemporanea/.