Il primo pensiero che ho avuto, quando ho visto che oggi ricorre la Giornata della Salute Mentale è stato, lo ammetto, di non ricordarmene.
Passato il momento, spontaneamente ho riflettuto su quanto, in alcuni aspetti, si è trasformata la percezione che ho rispetto alla situazione attuale della Salute Mentale.
Un anno fa scrivevo in questo periodo “Verso la fine di un Gruppo di Psicoterapia” e “La Cultura Psicoterapeutica che guarda con un occhio solo” https://www.mbpsicoterapia.it/verso-la-fine-di-un-gruppo-di-psicoterapia/ https://www.mbpsicoterapia.it/la-cultura-psicoterapeutica-che-guarda-con-un-occhio-solo/ riferendomi a esperienze personali e professionali e di conseguenza alle impressioni suscitate da tali esperienze.
Soprattutto riportavo, non solo in quelle pagine ma più diffusamente, una critica poco velata sullo stato dell’approccio terapeutico alla Salute Mentale, che osservavo molto diviso se non frammentato, nel suo proporsi al paziente, quando invece è necessaria un’integrità di visione sulla persona/paziente per avvicinarsi al trattamento con approcci diversi (diversi farmaci, numerosi modelli di Psicoterapia).
Gli innumerevoli punti di vista su ereditarietà genetica, multifattoriale, costituzionale e pertanto in gran parte intrinseci al bambino, futuro adulto patologico, mi portavano a rinforzare la proposta di un pensiero unico sulla Psicoterapia che partisse dalla fisiologia della relazione come punto iniziale e condiviso dai diversi modelli, per riconoscere poi la possibilità di percorsi differenti di cura psicoterapeutica ma, ripeto, partendo da una base unica che effettivamente ci accomuna https://www.mbpsicoterapia.it/avvio-di-un-pensiero-unico-come-base-per-la-psicoterapia/ .
Questo anno trascorso mi ha dimostrato che gli irrigidimenti non sono mai indeformabili e questo me lo hanno insegnato e continuano a farlo soprattutto i pazienti che confermano la natura plasmabile e rivolta in avanti della natura umana stessa che, in risposta alla relazione, può trovare altri modi di espressione.
È la conferma continua e inesorabile che non esiste psicopatologia che sia irrisolvibile o non approcciabile per cause intrinseche alla persona ma sempre per motivi evidenti ed estrinseci che fanno capo a esperienze relazionali alcune volte talmente precoci e disarmanti nella loro assenza o carenza di affettività per cui il bambino di allora e l’adulto di poi, si è dovuto difendere in forme estreme.
Quello che ho attraversato nell’ultimo anno è particolarmente avvenuto nell’ambito della Ricerca e della Formazione che fa sempre e comunque capo a persone e pertanto a relazioni tra persone. In lavori proposti in diverse sedi che non è così interessante ora citare, si sono incontrate e parlate la Psicoterapia, la Psichiatria e alcune Professioni Sanitarie accettando e riconoscendo l’importanza della relazione all’interno della Salute Mentale soprattutto a partire dagli operatori, il primum movens della cura. In particolar modo si è accolta l’importanza della figura dello studente, tanto più delle discipline afferenti alla Salute Mentale ma non solo, come persona di cui avere cura, prima del professionista e prima della relazione con il paziente.
Nella mia esperienza, sempre circoscritta, non vedevo direttamente (osservazione personale) e indirettamente (ricerche bibliografiche), particolari tracce e interesse verso questa strada diretta all’integrazione ed è chiaramente stato di impatto aver registrato una risposta così interessata allo studente.
Quindi gli aspetti formativi sono stati presi in carico realmente con dei passaggi importanti quali distinguere tra “educazione alle emozioni e all’empatia”, tra i pochi ambiti esperienziali dedicati agli aspetti emotivi della relazione nei programmi didattici, e “formazione di gruppo esperienziale rivolta al benessere della persona/studente” che viene ancora prima e ha maggiore rilevanza.
La struttura dei programmi formativi ha iniziato in alcune sedi a prendere in considerazione l’inserimento di moduli esperienziali specificamente focalizzati sui piani emotivo-affettivo-relazionale degli studenti, all’interno di lavori di Gruppo opportunamente condotti e strutturati (come ad esempio con il modello Strategico-Esperienziale di Formazione di Gruppo; Strategic-Experiential Group Training).
Inoltre discipline più storicamente agganciate alla Ricerca come analisi quali-quantitativa dei dati come la Psichiatria e altre Professioni Sanitarie come Infermieristica ma anche una parte della Cultura Psicoterapeutica che cerca di dare numeri per spiegare la relazione, hanno accettato e incluso la possibilità che la Ricerca in Psicoterapia riutilizzi la Narrazione come metodo, negli ultimi anni trascurata e svilita dalla necessità oggettuale dei dati.
Ho riflettuto molto e scritto su questi aspetti e quello che vedo oggi e che posso pensare come una piccola goccia in un grande mare ma che può espandersi nel tempo è che le strade per comunicare tra persone non sono sempre semplici e lineari ma serve trovare un modo per entrare nel linguaggio di uno per poter portare la propria lingua, non ci si può barricare dietro “l’aver ragione”, fonte di allontanamento e rifiuto. I movimenti non sono mai individuali ma appartengono sempre a un gruppo di persone come per eccellenza racconta la Psicoterapia, pertanto ci sono sempre strade da percorrere insieme, da soli non si va da nessuna parte.
Infine anche quando arriva il rifiuto, perché fa parte del processo, può essere sempre un motore di miglioramento, stimolando a cercare un linguaggio diverso per raggiungere anche chi rifiuta e se comunque il rifiuto permane, è una risorsa per continuare, in meglio, a pensare che si deve parlare, scrivere e continuare a comunicare diversamente.
Piccole cose, quelle che ho raccontato e che ho osservato questo anno, come quantità, ma molto potenti per qualità: una bella testimonianza per la Giornata Mondiale della Salute Mentale.
Michele Battuello