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Psicoterapia combinata individuale/gruppo 1

Aspetti della Psicoterapia Individuale.

La psicoterapia individuale contiene come obiettivo la rielaborazione del primo anno di vita, come ritrovamento degli affetti di base.
Il rapporto duale propone analogie con il rapporto con l’adulto significativo ed è la parte più delicata del lavoro perché coinvolge dinamiche inconsce precoci, che equivalgono a vissuti dal bambino nel momento in cui il rapporto costituisce l’unica possibilità di esistenza.
La percezione del mondo è, per molti mesi, limitata allo spazio immediatamente intorno al bambino, pertanto la qualità affettiva della relazione che risponde efficacemente alle richieste spontanee, pone le basi per l’instaurarsi della progressiva certezza di sé.
Le risposte affettive fondano pertanto le basi dell’identità, lasciando tracce e mappe neuronali specifiche, l’impalcatura del nostro essere esseri umani, contribuendo, tra le altre attività, a dare un senso del tempo interno, costituente unico del nostro sentirci in noi stessi, che integra il passato al presente in un continuum esistenziale coerente.
Quando siamo bambini, soprattutto durante i primi mesi di vita, percepiamo il mondo come limitato sul piano spaziale ma potentissimo sul piano emotivo/sensoriale.
Immaginiamo gli effetti di un rapporto assente o carente in queste fasi iniziali e dirimenti lo sviluppo: le risorse affettive che fanno parte del nostro patrimonio genetico per affrontare l’imprevisto sono estremamente potenti ma non possono sopperire del tutto a carenze e tantomeno a vere e proprie mancanze.
L’esperienza è come quella della vita in un’isola in mezzo all’oceano, con nulla intorno a vista d’occhio, letteralmente dovuta all’immaturità della capacità visiva per alcuni mesi.

Se a un certo momento un evento mette a rischio la nostra isola, terremoto o mareggiate, la sensazione di perdita è totalizzante.
Quando ci troviamo nell’isola unica, generalmente visualizzata come rapporto con la madre, la relazione con lei costituisce il nostro solo modo di poter vivere, non c’è altro al di fuori, pertanto è intuibile come quello che accade all’interno di questa relazione precocemente, possa così influenzare la struttura della base del sé e del nostro processo evolutivo.
Le esperienze più potenti sono quelle di assenza di rapporto, il non esserci affettivamente nell’esserci fisicamente, perché la paura di perdita di relazione/esistenza è insostenibile e deve essere affrontata dal bambino iniziando a costruire delle vie alternative per andare avanti.
In questo modo la fantasia è costretta nell’obbligo di doversi adattare a una situazione di difficoltà e le conseguenze si riscontrano nella relazione con l’adulto in psicoterapia, compresi i suoi sogni.

La traccia del dolore e soprattutto dell’angoscia e della paura rimane permanente se non è affrontata e trasformata: laddove i vissuti di vuoto si siano protratti per lungo tempo con numerose esperienze di dispersione dell’identità, dovuta alla percezione di perdere il mondo che ci circonda quando il rapporto duale dei primi anni di vita è stato carente, i meccanismi di difesa si sono dovuti attivare, portando in molti casi nell’adulto, ad automatismi di astrazione dalla realtà fino alla perdita di contatto vera e propria tipica delle psicosi.
Per essere più chiaro sulle esperienze del primo anno di vita, utilizzerò principalmente riferimenti al materiale onirico.
I sogni ci permettono di comprendere le carenze nella qualità del rapporto in periodi molto precoci.
Le situazioni più comuni e intuibili sono correlate a immagini di per sé angoscianti ma come avviene per ogni sogno, devono essere sempre contestualizzate all’interno della storia del paziente, del momento psicoterapeutico e del modo di sognare stesso specifico della persona.
Ricordo l’importanza del sentire dello psicoterapeuta, del concedersi un atto di riconoscimento genuino nei confronti del paziente, per intuire la sensazione di vuoto e angoscia correlata al sogno.

Non si può pensare l’interpretazione di un sogno come descrizione di un’immagine ma come atto di riconoscimento del vissuto raccontato da quell’immagine.
Un’altra caratteristica dei vissuti di vuoto è che compaiono in fase avanzata durante il percorso individuale, di solito quando sono state già affrontate altre dinamiche: la sensazione è come se il paziente prendesse coraggio o risorse dalla relazione per affrontare gli scogli più impervi, come se la fiducia oramai è sufficiente per esporre tutto il materiale anche quello più angosciante.
Questo ci fa comprendere che una base del sé è stata ristrutturata e la conferma è proprio che queste fondamenta sono considerate realmente sicure per affrontare dinamiche pericolose.
Non è mai possibile generalizzare sugli esseri umani, accade in alcuni casi che tali immagini arrivino subito in maniera esplosiva e impellente in psicoterapia e non in un secondo tempo.

La difesa estrema è correlata all’assenza di rapporto nel suo contenuto più che nella sua forma, che porta a costruire un’immagine interna diversa, non coerente con i vissuti, idealizzata ma che in quel momento permette comunque di sopravvivere e andare avanti.
È comprensibile come questi sistemi di difesa servano solo parzialmente a ovviare alla situazione critica, poiché l’angoscia rimane segnata nella mente del bambino e lo obbliga, a seconda dei casi, a rimanere già precocemente all’erta mentre sta tra le braccia della madre, non potendosi concedere del tutto il naturale fluttuare sonno-veglia nel rapporto, coerente con il periodo di vita.
Mi riferisco a esperienze del primo anno, potentemente angoscianti, ma spesso saltuarie e non continuative con la possibilità di poter tenere un rapporto affettivo più che sufficiente con la madre stessa.
È molto improbabile che il bambino dalla nascita, viva un ambiente umano affettivo di totale assenza, altrimenti non c’è possibilità di sopravvivenza.
Un’esperienza di risposta affettiva adeguata è sempre presente e lo sviluppo è portato avanti per cui delle basi vitali si costituiscono: non esiste paziente anche gravissimo nella sua sintomatologia e nella sua cronicizzazione che abbia completamente perso la sua umanità, quei pochi elementi residuali andrebbero sempre osservati e tenuti presenti per il trattamento.

Si aggiunga che esistono immagini corrispondenti a momenti e vissuti affettivi validi esperiti cui si può attingere come risorsa durante il lavoro psicoterapeutico volto alla trasformazione della patologia in ritrovata fisiologia.
È un tempo, ricordabile solo nei sogni, che è testimonianza diretta, reale, vera ed effettiva in cui il funzionamento esisteva e può essere recuperato nelle tracce dei vissuti come fondamenta della cura del sé.
Le implicazioni di queste possibilità per l’essere umano sono numerose e mi soffermo su una in particolare e cioè la conferma che in psicoterapia non mettiamo mai nulla di nuovo, nulla che il paziente non conosca o di cui abbia avuto esperienza, anzi, gli riconsegniamo ciò che per lui o per lei è diventato nel tempo, un contenuto pericoloso, da allontanare e non vivere perché associato alle sensazioni più spiacevoli dell’esistenza.
Quello che lo psicoterapeuta mette è il suo atto di riconoscimento dell’altro essere umano nella sua completezza, è questo il saper guardare oltre rispetto a noi stessi, è l’intuizione che nella persona che abbiamo di fronte ciò che ha funzionato può ritornare a brillare e a far parte del sé, quando sembra non essercene più la possibilità.

L’onnipotenza potenziale dello psicoterapeuta è frustrata dalla fisiologia umana: riusciamo a curare perché esiste la relazione che è dovuta in egual misura a noi come al paziente, senza di essa non possiamo fare nulla.
Serve qualcosa per la psicoterapia che risale al modo con cui veniamo al mondo: la capacità innata e spontanea di fare rapporti sani.
Questo passaggio è quello che si instaura negli incontri di valutazione e nella prima parte del percorso psicoterapeutico, in cui la relazione è individuale: si consolidano le basi del lavoro, proponendo la ricerca di elementi rimasti validi per separarli dalla psicopatologia e renderli di nuovo a disposizione della persona, liberi dai meccanismi di difesa che li hanno sovrastati per il proseguimento del processo evolutivo.
Non si ricostruiscono le fondamenta ma sono rimesse in luce, fase che ritengo debba essere sovrapponibile al primo periodo di formazione dello psicoterapeuta.
Rapporto madre-figlio nel primo anno di vita, psicoterapia individuale, ripristino della fisiologia e formazione dello psicoterapeuta devono essere affrontate ed elaborate allo stesso modo e con identiche finalità.

Michele Battuello