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Intervista alla Dr.ssa Debora Pennarossa, Psicologa Psicoterapeuta


L’obiettivo alla base di una serie di interviste che ho rivolto e continuo a rivolgere a colleghi e colleghe di diversa provenienza (medici, psicologi, specializzandi) è di capire, ascoltando le loro voci, qual è oggi l’approccio al disagio mentale, quali sono i trattamenti proposti, il pensiero sull’essere umano in Psicoterapia e altri temi fondamentali tra cui la Formazione.

Allo stesso tempo proprio per la rilevanza di questi temi e soprattutto dello scambio interdisciplinare, il Centro di Psicoterapia di Roma è aperto a chi è interessato a rispondere o a formulare domande sulla professione e a proporre riflessioni, punti di vista ed esperienze su Psicoterapia, Ricerca e Formazione e pertanto ci può contattare in qualsiasi momento.

Nel precedente incontro (https://www.mbpsicoterapia.it/intervista-alla-dr-ssa-serena-nardo-specialista-in-patologia-clinica-malattie-della-tiroide-nutrizione-e-patologia-metabolica/ ) mi sono confrontato con una collega medico che si rivolge a problematiche come la nutrizione e le patologie metaboliche che si sovrappongono in molti casi ai disturbi del comportamento alimentare, alle alterazioni dell’immagine corporea e altro.

Oggi le domande sono proposte a una collega Psicologa Psicoterapeuta per sentire le sue esperienze sullo stato della professione.

 

Qual è il tuo approccio/orientamento psicoterapeutico? Ci puoi descrivere brevemente come coniughi il modello nell’attività clinica?

Sono una psicoterapeuta a orientamento Gestalt-Analitico, approccio nato negli anni ‘80 da un’integrazione tra la Psicoterapia della Gestalt di Fritz Perls e la Psicologia Analitica di Carl Gustav Jung.

Nella pratica clinica prendo in considerazione ogni persona nella sua totalità, a prescindere dal disagio o sintomo che manifesta, approfondisco la conoscenza della sua personalità, della storia di vita e della relazione con l’ambiente di appartenenza.

Lavoro sul qui e ora, con una ricostruzione a ritroso delle circostanze e dei significati più profondi che possono aver generato la condizione patologica.

Tale movimento permette una migliore conoscenza di sé e dei processi inconsapevoli che sono alla base di situazioni di malessere, ripetute nel tempo o con esordio recente e improvviso. La consapevolezza, se adeguatamente percepita, può avviare il processo trasformativo finalizzato al cambiamento o al superamento del problema.

La cura avviene nella relazione psicoterapeutica, con una partecipazione responsabile e attiva da entrambe le parti.

 

Che cosa pensi dei numerosi modelli applicati alla Psicoterapia che sono oggi disponibili, sono una risorsa o possono generare confusione nelle persone?

La molteplicità di modelli presenti nel panorama psicoterapico genera ricchezza e dispersione.

Ricchezza per i professionisti della salute mentale già avviati alla professione, se considerano un loro dovere approfondire e perfezionare le conoscenze in ambito clinico, ampliare le competenze, mantenersi aggiornati sulla ricerca.  

Grande confusione nelle persone che si trovano a scegliere una terapia o un terapeuta, spesso catturate e/o ostacolate da false credenze che circolano sulla psicoterapia.

 

Ritieni che negli anni la Psicoterapia abbia perso di credibilità o al contrario sia una forma di trattamento e cura del disagio mentale cui si affidano o vengono indirizzati sempre più pazienti?

Per rispondere a questa domanda prenderei in considerazione quanto accaduto nei tempi più recenti, in particolare facendo un confronto tra quest’ultimo decennio e l’anno corrente, segnato da una pandemia che ha cambiato la percezione di cura.

Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a un proliferare di attività interessate al benessere psicologico e olistico dell’essere umano. Molte discipline o professionisti, anche con formazione diversa da quella psicoterapeutica, hanno dedicato la loro attenzione a percorsi di cura o di autorealizzazione.

L’aspetto apprezzabile di questo fenomeno è una maggiore sensibilizzazione alla cura di sé e alla necessità di trovare una strada per aiutarsi e conoscersi.

La pluralità delle proposte ha generato, tuttavia, una maggiore distanza nei confronti del trattamento del disagio psichico attraverso la psicoterapia, considerata meno accessibile, troppo complessa e solo di estrema scelta rispetto ad altri percorsi possibili, apparentemente più accattivanti e di facile fruibilità. È venuta meno, più che la credibilità, la peculiarità della psicoterapia come trattamento.

La pandemia ha rappresentato, a mio avviso, un’inversione di rotta, restituendo alla psicoterapia il suo valore originario e caratteristico. Davanti ad una situazione così instabile, imprevedibile e sospesa, tra rischio di malattia e morte, ci si è resi conto che per trattare fenomeni così fragili dell’esistenza umana è necessaria una competenza specifica e strutturata.

Molte persone hanno chiesto aiuto a uno psicoterapeuta, piuttosto che indirizzarsi ad altre forme di sostegno; il malessere, probabilmente latente, è stato fortemente sollecitato da un cambiamento così improvviso e spaventoso della realtà quotidiana. C’è stato un impellente bisogno di occuparsi della propria salute psicologica, di ristabilire una connessione interna, di affrontare problemi precedentemente trascurati.

 

Qual è il pensiero sull’essere umano alla base del tuo approccio alla relazione in Psicoterapia? Potrebbe essere utile per uno psicoterapeuta avere una mappa unica e universale di elementi di osservazione dell’essere umano come strumento-guida spendibile all’interno di qualsiasi tipo di prestazione? Quali?

Ogni essere umano ha bisogno di realizzare la propria individualità e di essere in relazione con gli altri, ma il naturale processo evolutivo è continuamente ostacolato, messo alla prova, interrotto e deviato. La relazione terapeutica mira a ripristinare l’equilibrio compromesso.

È molto utile per uno psicoterapeuta saper osservare, in modo oggettivo e orientato. Suggerirei i seguenti elementi universali da inserire nella mappa osservativa: personalità e funzionamento mentale, storia di vita, ambiente di appartenenza (fisico, affettivo, socio-culturale, interiorizzato), principali strategie difensive e di risoluzione dei problemi, modalità relazionali all’interno del rapporto terapeutico.

 

Che cosa osservi oggi come punti di forza e di fragilità nella formazione dei futuri psicoterapeuti. Cosa ne pensi in merito alla psicoterapia necessaria e/o obbligatoria per uno psicoterapeuta?

La specializzazione in psicoterapia è sicuramente la tipologia di formazione più adeguata a trattare la complessità della natura umana e le sue manifestazioni, e questo è un punto di forza. La tendenza, da parte di alcuni approcci, a discostarsi da costrutti metodologici e teorici che hanno visto la nascita della pratica psicoterapeutica è senza dubbio un punto di fragilità, al quale si aggiunge, la carenza di un linguaggio comune e condiviso.

Ritengo assolutamente necessario che uno psicoterapeuta si sottoponga ad un percorso di psicoterapia e lo consideri un aspetto fondante della  formazione, al pari della specializzazione.

Un professionista che si occupa di salute mentale deve avere un’esperienza personale delle dinamiche psichiche e relazionali che entrano in gioco durante un processo così trasformativo e profondo come la psicoterapia, deve conoscere la vulnerabilità e la delicatezza di alcuni passaggi evolutivi, deve essersi aperto alla conoscenza e all’esplorazione di sé, dei propri limiti e della propria sofferenza; deve poter accompagnare l’altro con la sicurezza e la padronanza di chi ha già percorso “con successo” quella strada.

 

L’epidemia da Covid-19 ha obbligato anche gli Psicoterapeuti a lavorare on-line o comunque a privilegiare le sedute a distanza. Come hai organizzato il tuo lavoro in questo lungo anno e quali riflessioni puoi trarre dall’esperienza?

Mi sono attenuta alle misure di sicurezza previste, procedendo con le sedute a distanza per tutto il periodo del lockdown e successivamente,  in casi di isolamento e rischio.

Il setting in presenza ha subito comunque un cambiamento importante con l’uso della mascherina che ci ha privato di una parte del volto.

Il processo terapeutico ha continuato a funzionare a distanza e in alcuni casi si è verificato un vero e proprio salto evolutivo.

Le difese e i meccanismi di protezione agiscono a prescindere all’interno della relazione terapeutica e sono espressione di contenuti personali ed esistenziali. In una cornice pandemica, che ha fortemente sollecitato elementi difensivi, paure più profonde sono divenute accessibili in un contatto mediato da un buon equilibrio tra distanza dall’altro e vicinanza dal Sé.

Abbiamo avuto una prova tangibile di come le difese, adeguatamente impiegate, possono essere alleate della cura e della possibilità di stare in relazione.

 

Per contattare la Dr.ssa: deborapennarossa@yahoo.it

 

Michele Battuello